Purtroppo, la satira e la comicità sembrano localizzate particolarmente nella parte bassa del corpo, ovvero dalla cintola in giù: le funzioni corporali e sessuali sono ampiamente utilizzate nell’accezione piu volgare e grossolana anche nei monologhi di comici di lunga e spesso prestigiosa tradizione artistica. La testa, il cervello, l’intelligenza creativa, il guizzo geniale che rendono la satira e l’ironia davvero graffianti e incisive nella realtà sociale, sono un lontano ricordo. Tutto è affossato dal turpiloquio imperante, anche in prima serata, senza il minimo rispetto di quelle minoranze televisive che ancora credono nel buon gusto e nei valori etici a cui dovrebbe essere ispirata la programmazione televisiva.
Neppure i talk show sono immuni dalla parolaccia presente anche nell’intrattenimento di prima serata. Gli insulti, a cui ci ha drammaticamente abituato un certo tipo di discussione politica e salottiera, passano necessariamente attraverso il turpiloquio.
E’ del tutto disatteso uno dei compiti più qualificanti della tv, la funzione educativa. Programmi dignitosi scarseggiano soprattutto nel settore dell’intrattenimento generalista. Un esempio, è il game show Avanti un altro condotto da Paolo Bonolis su Canale 5 nella fascia preserale: i doppi sensi e gli ammiccamenti sessuali costituiscono la normalità, la grossolanità è la regola, la volgarità della parola e dei comportamenti sono una costante. Dispiace per un conduttore decisamente intelligente che dovrebbe avere più rispetto per la propria formazione culturale.
Quali sono i motivi di una deriva trash di tali proporzioni? Viene in mente, innanzitutto, l’inevitabile contaminazione del linguaggio corrente, scurrile e volgare, con quello televisivo. Perchè censurare parole che, oramai, sono consolidate dall’uso comune? Per tale motivazione i telespettatori hanno assistito, interdetti, persino alla bestemmia pronunciata da Tiberio Timperi, personaggio tradizionalmente interprete di una gentile e garbata nazional- popolarità. E si è notata la volontà di mandare in onda la parolaccia laddove, forse, poteva essere evitata in quanto quel segmento della trasmissione era registrato.
In quest’ottica vanno inquadrate anche le discussioni dei viaggiatori di Pechino Express, all’insegna di un linguaggio volgare che nessun “bip” ha mai coperto, nonostante l’adventure reality di Rai2 fosse stato ampiamente registrato. Ancora una volta l’aspettativa di un frammento di share in più ha convinto i responsabili di rete a mandare in onda colloqui nei quali, la parola “c…o”, era pronunciata con costante disinvoltura.
L’evidente volontà di stimolare la curiosità del pubblico, attraverso il turpiloquio, continua a tenere banco anche nei programmi della fascia protetta e non risparmia neppure alcune trasmissioni radiofoniche come Un giorno da pecora, in onda su Radiodue con i due collaudati padroni di casa Claudio Sabelli Fioretti e Giorgio Lauro.
Per gli autori cercare, nel proprio bagaglio culturale, quell’originalità intelligente e costruttiva in grado di interessare il pubblico in maniera formativa, è divenuta una vera utopia. Continuare su questo trend significa offrire alle generazioni di minori e di giovani un esempio estremamente negativo. L’emulazione è una delle conseguenze più pericolose perchè la fascia adolescenziale si sente legittimata a utilizzare il medesimo linguaggio della tv.
Ritorna in mente l’abusata espressione “lo ha detto la televisione, quindi è vero” che per molti non ha mai perso significato. Quindi se persino Bianca Balti, nel corso nella sua conduzione in una puntata di Zelig, ha usato un’imprecazione volgare, perchè non utilizzarla nel linguaggio comune?
La tv, per certi aspetti, è lo specchio della società e per questo segue quell’imbarbarimento nei rapporti tra individui di cui siamo testimoni e complici.
Non abbiamo più rispetto per noi e per chi ci circonda, continuiamo a utilizzare, come intercalari, parolacce e volgarità che di solito servono per mandare “a quel paese” chi non la pensa come noi e persino chi non ci è simpatico.
Insomma siamo diventati più aggressivi nei confronti di noi stessi e degli altri. La parolaccia rappresenta la naturale reazione violenta ad ogni tipo di sollecitazione. La comprensione reciproca, la dialettica costruttiva sembrano troppo impegnative in un mondo “mordi e fuggi”: meglio allora il ricorso veloce e istintivo alla volgarità nelle sue varie espressioni.
Tutto questo si inquadra in una degenerazione dei comportamenti che ha le radici in una profonda inquietudine psicologica.
Intanto i dirigenti televisivi rincorrono affannosamente gli indici di ascolto che si traducono in maggiori investimenti pubblicitari. Ma c’è proprio bisogno delle parolacce per incrementare gli indici di ascolto? Sembra proprio di si, salvo poi, prenderne, ipocritamente,le dovute distanze. Basta ricordare quanto è accaduto spesso nella casa del Grande Fratello. E ancora oggi ascoltiamo personaggi noti insultarsi trivialmente per conquistare qualche spettatore in più.
Sarebbe opportuno, dunque, che gli autori di programmi e di monologhi comici si impegnino ad attivare le loro celluline grigie per offrire al pubbico un prodotto di qualità o quantomeno dignitoso.
Infine: il pensiero va a Luciana Littizzetto e alla sua comicità che, tradizionalmente, ha come punti di riferimento proprio quelli che vanno “dalla cintola in giù”. Dispiace che le innegabili qualità della Littizzetto vengano mortificate dalla grossolanità alla quale costantemente si ispira.