I film, insomma, per leggere in filigrana la complessa mente di quest’uomo, nato a Parigi da un pittore polacco di origini ebraiche e da una russa prima ebrea poi convertita al cattolicesimo. Una vita in fuga. Da Cracovia, per evitare il campo di concentramento dove invece finì e morì la madre. Poi ancora dalla Polonia, in odio al regime comunista. E, era il 1977, dagli Stati Uniti, dove fu accusato di stupro nella villa di Jack Nicholson ai danni di una tredicenne, con uso di stupefacenti. Polanski patteggiò su proposta dell’avvocato della ragazzina, per evitarle di comparire in tribunale. Ma gli comminarono la prigione a Chino, per perizia psichiatrica, da dove scappò dopo 42 giorni. Si rifugiò in Europa, braccato dalla richiesta di estradizione che lo allontana dal Regno Unito, gli dà solo la possibilità di vivere in Francia e infine si risolve in arresto, nel 2009, in Svizzera, dove va a ritirare il premio alla carriera dello Zurigo Film Festival. E dove ha i domiciliari con controllo elettronico fino al 2010 allorché i giudici elvetici revocano per vizio l’estradizione.
In mezzo a questa tenebra – Polanski ha chiesto scusa a Samantha Geimer, l’adolescente vittima, solo due anni fa ancora sullo scenario dello Zurigo Film Festival dove si proiettava un documentario sulla sua vicenda – l’altro incubo, l’assassinio nel 1969 della moglie Sharon Tate, all’ottavo mese di gravidanza. Una mattanza in una villa di Los Angeles ad opera della setta di Charles Manson e mentre Polanski era a Londra per lavoro. Il regista risponde con due anni di silenzio e poi con l’abbandono di Hollywood nonostante il successo di “Chinatown”, del 1974.
Ecco, rivedere i film di Polanski non può evitare di farci interrogare sul “film” della sua vita. Senza assolverlo dagli abissi nei quali si è calato, senza poter sciogliere i grovigli nei quali è inciampato. Oggi il piccolo schermo propone “Il pianista”, l’opera più importante, se non altro perché conquistò la Palma d’Oro a Cannes nel 2002 e l’Oscar nel 2003, statuetta ritirata da Harrison, suo attore in “Frantic”, perché per Roman recarsi agli Academy Awards da “wanted” avrebbe ovviamente significato l’arresto. Nella pellicola troveremo gli echi della prima giovinezza di Polanski: tratto dal romanzo autobiografico del compositore ebreo-polacco Wladyslaw Szpilman, è un film sull’Olocausto che squarcia la sopravvivenza nel ghetto di Varsavia e la deportazione della famiglia in un campo di sterminio. Oltre che il premio per la miglior regia, “Il pianista” ottenne anche quello ad Adrien Brody per il miglior attore protagonista e a Ronald Harwood per la migliore sceneggiatura non originale.
Nella rassegna non mancherà, il 4 novembre, il celeberrimo “Per favore non mordermi sul collo”, la caustica parodia dei film sui vampiri che Polanski girò nel 1967, recitando accanto a quella che sarebbe diventata la sua sfortunata sposa, Sharon Tate. Il 21 ottobre potremo vedere un’opera meno cliccata, “La nona porta” (1999, dal romanzo “Il club Dumas” di Pérez-Reverte). Una settimana dopo, il 28 ottobre, l’appuntamento è con lo splendido “Carnage”, l’ultimo lungometraggio di Polanski, dal testo teatrale di Yasmine Reza. Una vicenda stretta tutta intorno alle tre unità aristoteliche di tempo, luogo e azione e forse collegabile alla trilogia cosiddetta dell’appartamento (“Repulsione”, “Rosemary’s Baby”, “L’inquilino del terzo piano”). In una casa di Brooklyn due coppie si riuniscono per appianare il litigio dei rispettivi ragazzini, ma l’incontro si risolve appunto in una carneficina psicologica nella quale ciascuno (gli interpreti sono Jodie Foster, Kate Winslet, Christoph Waltz e John Reilly) mette a nudo le proprie bassezze civili e sociali.
Tra i futuri appuntamenti di “Director’s Cut: Polański” spicca quindi la prima visione in chiaro di “Carnage” (28 ottobre). Tra le altre opere in locandina, “La nona porta” (21 ottobre) e “Per favore non mordermi sul collo” (4 novembre).