Iniziamo proprio dalla presenza della Maggioni come moderatrice. E’ stata la scelta giusta. Renzi e Bersani non potevano scontrarsi nel salotto di Bruno Vespa addetto ad altre funzioni. Nè poteva essere Vespa il moderatore dell’incontro troppo legato ad una sola parte politica. Inoltre la gestione del confronto non avrebbe portato al conduttore di Porta a porta nessuna gratificazione in termini di professionalità. Vespa si ritiene superiore a tali incombenze che lascia sbrigare ad altri. Quando ci sarà, se ci sarà, il confronto tra i due leader candidati a Premier, allora farà sentire la sua voce.
Tutto questo significa che il Vespismo non è morto, è solo espressione di un altro modo di fare giornalismo politico. Il che significa che trasmissioni come quella del confronto tra Bersani e Renzi non si sostituiscono a Porta a porta, ma sono un’altra cosa. E non parlerei di confronto all’americana tra i due contendenti, complici le telecamere di Rai1. Tutt’al più si è trattato solo di un tentativo di imitazione, perchè, esendo la materia politica nuova per la tv di casa nostra, c’è bisogno di un periodo di rodaggio. Anche i due sfidanti non sembravano del tutto a loro agio. E l’hanno dimostrato evidenziando alcune incertezze nel comportamento. Un esempio: Bersani beveva frequentemente acqua dalla bottiglina a sua disposizione, dando la sensazione di un’emozione che gli bloccava la voce. Renzi sbracciava un po’ troppo nel dare le risposte e alzava i toni per accreditare la propria sicurezzza.
Piccoli segnali che uno psicologo avrebbe ben interpretato come espressione di un’emozione tenuta a freno. Anche Monica Maggioni tentava di ispirarsi a modelli americani e, forse, ha avuto un’unica debolezza: non ha incalzato sufficientemente i contendenti come invece aveva fatto il suo collega di Sky nel primo confronto tra gli allora cinque contendenti.
Ancora: la Rai avvertiva pesantemente la responsabilità di diversificarsi dalla tv satellitare. E spesso lo ha fatto in maniera anche esagerata. Ad esempio: sembrava che la scenografia fosse opera di un milanista, oscillava tra il rosso dello sfondo dove operavano Renzi e Bersani e il nero nel quale era inserita la Maggioni che, per di più, era vestita totalmente di nero. Una scelta che non le donava: l’abito la faceva apparire una sorta di suora laica, sacerdotessa di un rito politico caratterizzato da un dualismo cromatico un po’ ambiguo.