Claudio Baglioni aveva annunciato che anche per Sanremo 2019 tutte le energie sarebbero state votate alla valorizzazione della canzone italiana.
Così è stato nella prima puntata, con la differenza, rispetto allo scorso anno, che nell’edizione iniziata ieri c’è una varietà maggiore di generi e linguaggi, in grado di aumentare l’attrattività del Festival.
Ecco i nostri giudizi sulle canzoni.
Francesco Renga – “Aspetto che torni”
La melodia regala un po’ di impatto ad un testo di per sé non all’altezza. Una canzone d’amore in perfetto stile Renga per quanto riguarda ciò che ha da dire, ma che non si trascina in inutili prove di forza vocali e presenta elementi ritmici che ravvivano versi non brillantissimi.
Livio Cori e Nino D’Angelo – “Un’altra luce”
Inizia con un’atmosfera accattivante, poi aspetta un po’ troppo a “sbocciare” e lo fa solo in parte. L’idea è ambiziosa e niente male, anche se le strofe in napoletano cantante da Nino D’Angelo non sempre si amalgamano (in generale, è stata un’esibizione problematica). Il testo – un confronto generazionale – è scritto con alcuni buoni spunti e nelle prossime serate il brano potrebbe crescere.
Questa canzone è tutto ciò che ti aspetteresti da Nek, nella scrittura e nel tema dell’amore tendente al sentimentalismo. Il groove, la voce e il suo modo di interpretarla la rendono potente e incisiva anche se di fatto è un brano ordinario. Potenzialmente perfetto per le radio.
Zen Circus – “L’amore è una dittatura”
Una canzone verbosa, rock, poco adatta a Sanremo. Non colpisce subito, è piuttosto complessa con delle melodie che non fanno sconti e senza un ritornello potente, ma è una canzone che ha tanto da dire e lo dice bene. Merita di essere scoperta ascolto dopo ascolto. Un tentativo assolutamente apprezzabile per The Zen Circus, per quanto destinato ad una nicchia di pubblico.
Il Volo – “Musica che resta”
Hanno il merito di aver provato a scrollarsi di dosso alcuni orpelli e smuoversi un minimo dalla monotonia artistica in cui rischiavano di cadere. L’abbandono del canto prettamente lirico (ma i fan stiano tranquilli, l’impostazione di fondo si sente tutta) gli dona un po’ di spunto e l’arrangiamento più pop è calibrato per consentirgli questo cambiamento senza snaturarli. Tuttavia, rimane una canzone dal testo elementare e, nel suo complesso, molto modesta.
Loredana Bertè – “Cosa ti aspetti da me”
Non colpisce fino in fondo, né nel testo né nelle melodie – entrambi più che dignitosi ma piatti – anche se ha un suo carattere deciso e l’interpretazione della Bertè (sempre sul pezzo) la spinge molto. Si ascolta facilmente, ha un ritornello orecchiabile e questo è un dono che le regalerà delle soddisfazioni, ma manca l’appiglio profondo per l’ascoltatore.
Daniele Silvestri – “Argento vivo”
Un grande brano. Il testo parla del punto di vista sulla vita, problematico e tormentato, di un sedicenne, con una complessità difficile da trovare in una canzone, eppure con dei versi talmente centellinati da andare a segno senza spigolature, diretti. Anche gli arrangiamenti sono originali, curati e coinvolgenti. Manca un ritornello immediato e anche per questo non è facile che vinca Sanremo 2019, ma resta una canzone di tutto rispetto.
Federica Carta e Shade – “Senza farlo apposta”
Canzone con un ritornello talmente orecchiabile da rimanere impresso al primo ascolto. Peccato che svanisca subito dopo, anche per un testo piuttosto evanescente. Una hit pensata per la radio, gli streaming e per fare breccia tra i ragazzi.
Ultimo – “I tuoi particolari”
Una melodia furba, perfetta per fare strada a Sanremo. Come il testo, del resto. Anche in questo caso manca l’elemento che brilla e smuova da una certa prevedibilità, nulla di eccezionale. Ma è innegabile quanto Ultimo sia stato bravo a preparare un buon brano e il terreno adatto a lasciare il segno in questo Festival.
Paola Turci – “L’ultimo ostacolo”
Uno di quei casi in cui la sorpresa non c’è – perché è un brano perfettamente in linea con lo stile di Paola Turci – eppure non se ne sente troppo la mancanza. Un testo vivo, una melodia a punto e la cantante sempre deliziosa ed efficace. Poteva fare di più, ma piace.
Motta – “Dov’è l’Italia?”
Melodia e arrangiamenti ricchi il giusto (cioè non troppo) e in perfetto stile Motta, solo con un grado di orecchiabilità maggiore del solito, grazie anche alle percussioni. Proviene dall’indie-rock e si sente, ma qui siamo sul terreno del pop con un bel testo da cantautore contemporaneo che forse parla anche di migranti, forse no. Una canzone che farà la sua strada.
Boomdabash – “Per un milione”
Un tempo sarebbe stata una potenziale hit, con il raggae nel DNA e il pop come mira. Infonde leggerezza e voglia di muoversi, con un testo semplice e carico di esperienze. Fa il suo.
Patty Pravo con Briga – “Un po’ come la vita”
L’ordinarietà è il tratto distintivo di questa canzone che ha un testo con appena qualche spunto e un ritornello sostanzialemente scontato. Briga non riesce ad incidere con gli accenni rap, quelli che dovrebbero far cambiare marcia al brano. Una canzone piacevole da ascoltare, ma nulla più.
Simone Cristicchi – “Abbi cura di me”
L’unico appunto da fare a Cristicchi è per non aver osato maggiormente, visto che può permetterselo, concedendosi un’altra prova sostanzialmente nel suo stile. Cosa che non piacerà a molti. Ma quello di “Abbia cura di me” è un altro gran bel testo, recitato più che cantato, con arrangiamenti ricchi di archi che gli concedono un respiro e un’intensità molto poetici.
Achille Lauro – “Rolls Royce”
Achille Lauro voleva spaccare Sanremo 2019 e ci è riuscito. Il testo è riconducibile ad uno stile rap/trap (sul finale ha utilizzato pure l’autotune) e anche se, rispetto al metro classico con cui si giudicano i testi, non ha chissà quale significato, dettaglio omricercatezza da strapparsi i capelli, è perfettamente adatto all’obiettivo e all’andamento della canzone, un rock ‘n roll moderno e sfrontato. Qualche richiamo di troppo a Vasco Rossi (negli intenti prima che negli elementi del brano), per il resto, il suo obiettivo appare centrato con personalità. Certo, se parliamo di classifica, è inadatto al grande pubblico del Festival.
Arisa – “Mi sento bene”
Ci si aspettava qualcosina in più. Per carità, Arisa canta estremamente bene e il testo non è affatto male, ma l’impronta quasi disco del brano non convince del tutto, anche se lo rende molto coinvolgente ed energico. Ha bisogno di un secondo ascolto.
Negrita – “I ragazzi stanno bene”
Peccato per la melodia poco originale – ma ugualmente piacevole – e un po’ piatta dopo l’introduzione, perché la canzone c’è. Il testo non è memorabile, ma nel suo stile è convincente e incisivo, l’intepretazione pure è buona. Insomma, sul palco dei Negrita sembrano essere tornati in discreta forma.
Ghemon – “Rose viola”
Un brano dalle atmosfere notevoli che mette in risalto tutte le qualità di Ghemon nel maneggiare hip hop, rap, soul e altri generi per modellare la sua identità peculiare. Il testo è niente male, ma soprattutto riesce a fondersi con la musica: si esaltano a vicenda. Forse non per il grande pubblico, ma “Rose viola” merita.
Einar – “Parole nuove”
Purtroppo mette insieme tutta una serie di cose poco originali e senza sprazzi autorali davvero rilevanti. Dai testi, alle melodie, all’interpretazione. Non si può dire che sia una brutta canzone, ma si fa fatica a rimanerci legati. In ogni caso, avrà i suoi asolti soprattutto tra i ragazzi.
Ex-Otago – “Solo una canzone”
Difficile da giudicare. Ballad ispirata un po’ alle atmosfere dei The Giornalisti (in generale indie-pop italiano) un po’ agli “Ex-Otago che provano a fare una canzone per il pubblico di Sanremo”. Nuovo caso di brano piacevole all’ascolto ma che non si illumina mai.
Anna Tatangelo – “Le nostre anime di notte”
Come al solito, Anna Tatangelo canta bene, molto bene. Peccato per la canzone, troppo scontata. Riesce a mettere in risalto le sue doti vocali e a portare sul palco una storia che la cantante evidentemente sente in maniera sincera, nulla più.
Irama – “La ragazza col cuore di latta”
Tra i più convincenti dei giovanissimi ascoltati nella prima serata. Arrangiamenti e interpretazione che esaltano un brano dal testo non straordinario ma basato su una storia di per sé interessante. Nulla di memorabile, ma si è giocato bene le sue carte.
Enrico Nigiotti – “Nonno Hollywood”
Un brano con tentativo di mascheramento da grande prova cantautorale, ma non lo è. Resta una buona canzone, interpretata anche bene, sincera, parla di una storia che suscita emaptia. Però, serve qualcosa in più.
Mahmood – “Soldi”
Bravo. È riuscito a portare il suo stile – estremamente contemporaneo – a Sanremo e lo ha fatto senza snaturarsi, in maniera credibile e coinvolgente. Peraltro, con un testo più che dignitoso nel suo genere. Una bella sorpresa.