Ovviamente non c’è una risposta standard. Dipende molto dal temperamento individuale di ognuno di loro. Dipende anche dalla propria formazione, che può essere prevalentemente umanistica oppure tecnica. E dipende anche dalla mansione specifica che si esercita. Un conto è lavorare in una redazione culturale o nella trincea della cronaca quotidiana.
Personalmente ho sempre avuto la tendenza, per non dire la tentazione, di tenere un piede nel mondo della professione e l’altro nel mondo universitario. Ma ho sempre altrettanto apprezzato quei Colleghi che, per così dire, stavano al chiodo più di me, mandando avanti macchine produttive estremamente impegnative. Quindi credo di conservare l’umiltà di chi sente di non avere niente da raccomandare a nessuno. Ognuno ha la sua strada.
Detto questo, ritengo anche utile indicare alcuni punti su cui, in base alla mia esperienza, lo sforzo di unire ‘la pratica e la grammatica’ può dare qualche risultato interessante.
Una prima riflessione si riferisce al campo della televisione e riguarda la cosiddetta ‘dittatura dell’auditel’. Tutti, a parole, sono d’accordo nel dire che la radio e la televisione non possono essere giudicate esclusivamente per gli ascolti che riescono ad accaparrare. E ciò in particolare quando si parla di servizio pubblico. E’ questa un’ottima intenzione: non essere schiavi della curva degli ascolti del giorno dopo.
Recentemente, ed esattamente il 14 novembre, in un editoriale efficacissimo sul ‘Corriere della Sera’ Ernesto Galli della Loggia denunciava il degrado di una società parametrata solo sulla ricchezza materiale, sul dio quattrino. L’auditel obbedisce alla stessa logica. Non solo perché è l’indice su cui si costruiscono i listini pubblicitari che determinano gli incassi delle emittenti, ma anche e soprattutto perché viene vissuto come un parametro pressoché esclusivo, una specie di giudice che decreta non solo il successo di un programma, ma anche la sua utilità sociale, il suo impatto sul pubblico. E’ la riduzione drastica di ogni elemento di qualità a puro numero matematicamente misurabile.
Non ho mai sottovalutato l’importanza di questo indice, ma ritengo che sia un errore renderlo un fattore assoluto. Ebbene, per non fare proclami al vento privi di conseguenze, occorre trovare altri criteri che integrino quello dell’indice di ascolto. Ed è qui che ‘la grammatica aiuta la pratica’, che la riflessione, lo studio, l’allargamento dell’orizzonte culturale diventano molto importanti.
Facciamo qualche caso. E mi permetto di prenderlo da un mio libro di qualche tempo fa di cui ho pubblicato un’edizione riveduta e arricchita: ‘La nuova galassia McLuhan’. Ne traggo due spunti.
Il primo è suggerito dal sottotitolo della nuova edizione: ‘Vivere l’implosione del pianeta’. Il mondo che ne risulta è un mondo imploso, in cui interi continenti si riversano sul altri continenti con migrazioni bibliche e con flussi comunicativi satellitari che invadono i nostri ambienti e le nostre coscienze.
Tutti i campi sono investiti da uno tsunami digitale. I media, soprattutto alla luce delle nuove frontiere tecnologiche (web 2.0, social network, ecc.), hanno la capacità di rivoluzionare la nostra vita. Ma quelle stesse tecnologie che ieri avevano esaurito le nostre curiosità sul mondo esterno, oggi possono e debbono diventare strumento per alimentare le nostre istanze più interiori. Siamo quindi in presenza di un invito a evitare la superficialità e a cogliere quello che la gente ha di più profondo.
Un secondo spunto molto importante è dato da una frase poco nota dello studioso canadese, che richiama quanti operano dei mass media ad avere attenzione agli ‘ultimi’ e non solo allo spettatore medio che, malgrado la crisi, si immagina sia abbastanza tranquillo nel salotto di casa o nell’abitacolo della sua macchina. Leggiamo insieme il passaggio: «In un mondo di tecnologia visiva e tipografica sono soprattutto il bambino, lo storpio, la donna e l’individuo di colore a sembrare vittime di un’ingiustizia. Viceversa in una cultura che assegna ruoli anziché impieghi, il nano, lo sciancato e il bambino si creano i loro spazi. Nessuno si aspetta che si adattino a qualche nicchia uniforme e ripetibile che non è comunque della loro misura… In tutti i nostri reattivi per valutare il quoziente d’intelligenza si constata un’enormità di criteri sbagliati… Coloro che li propongono presumono che abitudini uniformi e continue siano un segno d’intelligenza e respingono in tal modo l’uomo che si affida all’orecchio e al tatto».
L’uomo che si affida all’orecchio e al tatto è eminentemente l’uomo radiotelevisivo, perché è attraverso l’altoparlante della radio e lo schermo della tv che viene coinvolto vitalmente, quasi che fosse presente, in tutti gli eventi che vengono rappresentati. Per cui una radio e una televisione veramente ‘rappresentative’ della nostra umanità -veramente di ‘servizio pubblico’- dovrebbero proprio privilegiare tutti coloro che non sono tranquilli in una nicchia di sicurezza, ma quanti sono inquieti alla ricerca della loro realizzazione, della loro funzione, del loro ruolo nella società. E pensiamo oggi che cosa significhi tutto ciò di fronte a problemi gravissimi, come quello della disoccupazione giovanile. Non si tratta di fare una radiotelevisione ‘mesta’ –sembra dirci McLuhan-, ma al contrario una radiotelevisione di speranza, in cui prevalgano i messaggi dell’inclusione, del far parte, rispetto a quelli dell’esclusione, del rimaner fuori, estranei, impotenti.
Ed egli aggiunge che i media elettronici e digitali -radio, televisione, web- hanno una potenzialità nettamente superiore rispetto ai vecchi media tipografici -libro, giornale- che fino a pochi decenni fa e in certa misura anche tuttora, pur nel beneficio che recavano, dividevano inesorabilmente la popolazione in alfabeti (pochi) e analfabeti (tanti). In questo orizzonte al giornalista e al programmista si aprono spazi smisurati, quelli stessi che nel dopoguerra fecero della televisione il più potente mezzo di coesione nazionale e di crescita culturale collettiva, come ha scritto Francesco Alberoni nelle pagine dedicate al miracolo economico. Oggi siamo in un’emergenza analoga e dobbiamo trovare lo stesso slancio verso il futuro.
Gianpiero Gamaleri: Professore ordinario di Sociologia dei processi culturali e comunicativi già a Roma3. Vicepreside e Coordinatore della facoltà di Scienze della Comunicazione all’Università Telematica Uninettuno. Giornalista professionista e dirigente del Consiglio di Amministrazione della Rai, attualmente è membro del CdA del Centro Televisivo Vaticano.