Così vicini così lontani avrebbe dovuto esordire il 20 dicembre, ma una decisione improvvisa del direttore di Rai1 lo ha fatto slittare al 2014. Motivazione: esigenze di palinsesto. Probabilmente, invece, si è voluta evitare la sovrapposizione con il format originale che, in una seconda tarda serata, La5 sta trasmettendo quasi in sordina. Un’attenta analisi delle puntate di Find my family e delle anticipazioni sulla trasmissione di Albano, evidenzia che, al di là dell’ispirazione, si tratta di vera e propria trasposizione.
Find my family non prevede momenti in studio, solo un conduttore e un’inviata. Se il tema del ricongiungimento familiare evoca le atmosfere di Carramba che sorpresa, qui abbiamo a che fare con un prodotto che, figlio dei reality, è però montato con un taglio che strizza l’occhio al documentario.
Non vediamo soltanto genitori e figli conoscersi dopo anni di lontananza, ma vengono mostrate anche le varie fasi delle ricerche necessarie per indivuare le persone.
Nell’ultima puntata ad esempio, sono state raccontate le storie di Wendy e di Ellen.
La prima, irlandese, è nata nel ’76 e non ha mai conosciuto il padre, Grant Williams. Di lui ha solo una foto da ragazzo, sa che era nella Marina americana e che aveva conosciuto la madre durante la guerra nel Nord dell’Irlanda.
Il conduttore racconta che la redazione è riuscita a identificare l’uomo partendo dal presupposto che il suo nome fosse piuttosto inusuale per un americano di quella generazione. Inoltre, nella sua risposta all’appello, aveva firmato con S.L., cioè saluti rispettosi, un’espressione solitamente usata nell’ambiente militare.
Raggiunto dal presentatore, Grant ora vive in Nuovo Messico, dove ha una famiglia a cui ha sempre parlato di Wendy, tanto che la moglie l’aveva aiutato a cercare la ragazza per anni.
Si scopre quindi che, portato a forza a Belfast dai superiori, Grant aveva scritto una lettera. Questa però, intercettata dal nonno di Wendy, non aveva mai trovato risposta.
L’uomo invece, aveva sempre pensato che madre e figlia fossero andate avanti con le loro vite, dimenticandosi di lui.
L’altra storia ha per protagonista Ellen Harrison, che da adolescente aveva dato il suo bambino Antony in adozione. Anche in questo caso, il marito l’aveva aiutata nella ricerca, ma senza ottenere risultati.
Rimasta incinta a 16 anni, Ellen era stata cacciata di casa dal padre, che la riteneva un’onta per la famiglia.
Anche qui una lettera senza riposta: Ellen ne aveva scritta una in cui spiegava al bambino che aveva fatto una scelta così difficile per il suo bene, non perché non gli volesse bene.
Scopriamo che adesso Antony si chiama David, che gli è stato detto dell’adozione a 9-10 anni, ma senza ulteriori dettagli: la lettera non l’aveva mai vista, però non ha mai capito se fosse stata una decisione dei nuovi genitori o se, più semplicemente, fosse andata persa.
I casi di Find my family sono tutti a lieto fine. Le telecamere mostrano il ricongiungimento tra persone desiderose di incontrarsi, che non nutrono rancori, ma cercano soltanto di costruire una relazione.
Le lacrime non mancano; il conduttore però, empatico quanto basta, si mette da parte nel momento più emozionante; il suo ruolo è fare da ponte tra due persone, una sorta di traghettatore tra genitori e figli. Potrebbe allora essere questa la differenza con Così vicini, così lontani: il ruolo del conduttore.
Difficile infatti immaginare una personalità esuberante come quella di Albano nelle vesti di semplice tramite; si può invece ipotizzare una maggiore personalizzazione. Inoltre, non ci stupiremmo nemmeno di una declinazione più patetica, magari grazie alle solite riprese che sottolineano la commozione puntando sui primi piani dei protagonisti.