“La Grande Bellezza” arriva al traguardo finale dell’Oscar, dopo aver ricevuto una copiosa serie di prestigiosi riconoscimenti internazionali: Golden Globe in California, trionfo agli European Film Award, vincendo ben 4 premi su cinque, la nomination ai Bafta, Britsh Academy Film Awards come miglior film non in lingua inglese ed è in lizza per i Goya miglior film europeo , ultimo l’ importante riconoscimento della Critica Straniera accreditata ad Hollywood. Ma prima di sapere se Paolo Sorrentino sarà premiato i telespettatori vedranno La grande bellezza in chiaro su Canale 5 a fine gennaio.
Il film negli Usa ha ricevuto apprezzati consensi, raggiungendo al Box Office oltre un milione di dollari, cifra considerevole tenendo conto che si tratta di un film in lingua italiana . Inoltre lo scorso 10 gennaio il film, è stato invitato al Festival di Palm Springs, ricevendo calorosi consensi da parte del pubblico e della critica.
E’ una vittoria prestigiosa per il nostro cinema e soprattutto per una Italia avvilita dalla crisi e mal messa. Come sovente accade la nostra arte fantasiosa è l’unica chance che cerca di rimetterci in sella nel panorama internazionale.
Alla notizia della candidatira all’Oscar, Sabrina Ferilli ha pianto di commozione e Paolo Sorrentino felice ha esclamato.”Per me, è motivo di grande soddisfazione la candidatura italiana all’Oscar. Adesso ci impegneremo a fare tutto il possibile per ottenere il risultato finale. So che è una strada lunga e difficile, ma faremo di tutto,proiezioni, cene, promozioni, per cercare di spuntarla.”
Per noi, già alla prima visione del film, a maggio 2013, La grande bellezza rappresentava questo:
Una Roma fantastica, sognante, percorsa da anime perse, parvenu, finti ricchi, nobili e spiantati, dame e cavalieri in un jet set cenciaiolo, politici e ladroni, banditi di alto bordo, imbroglioni e millantatori, giornalisti imbruttiti e senza passione, alti prelati miserrimi che non ascoltano e si adeguano, intellettuali e intelettualoidi, rapporti fatiscenti, salotti banalmente nella noia, dame ferocemente sole, esaltate falsamente da un ego stremizzato, trans e mignotte. Una sterminata Babele, sporcata e intontita da musica tuonante, un carnaio superficiale da girone dantesco, giovani nude che si avvinchiano in farsesca goduria, guardoni arrapati in una platea di forsennati decisi di fare l‘alba, urla, sniffate, alcol, ballare a perdifiato, forse per dimenticare. Un grande tragico caos.
Via Veneto deserta, desolante, irriconoscibile da quella cantata da Federico nel ‘60, una Roma del boom superficiale e godereccio, che Sorrentino racconta nella Roma di oggi e disgraziatamente impoverita.
Via Veneto, antiche dimore, terrazze, balconi, ville sterminate, tutti fagocitati, nessuno escluso. Il tragico racconto di un 65enne giornalista, scrittore di una sola estate Toni Servillo, quando le giurie dei grandi Festival, assegneranno a questo artista fuori dal coro, i massimi riconoscimenti che gli si devono. Cannes non è stata da meno, la giuria ha sfacciatamente ignorato lui e la grande opera di Paolo Sorrentino.
Toni Servillo, è Jep Gambardella, indimenticabile figura nella sua convinzione di essere, un moderno Marcello, elegante e solo. La storia dell’avventura umana gira intorno al giornalista demoralizzato, carico di ricordi, “sono riuscito ad entrare in questo vorticoso mondo, ma io devo dirigere le danze”, dice Gambardella, è il re della mondanità, da ragazzo chiedevano ”cosa vorresti su tutto per essere felice, ‘la fessa’, in coro la risposta; Io l‘odore particolare delle case dei vecchi, voglio scrivere, raccontare i sentimenti”.
Così nasce Jep Gambardella, ciondolante in un assurdo e inutile mondo capitolino, dolente, ipocrita, annoiato, assente, è l’uomo della notte. Gin e sigarette, il suo rientro alle prime luci dell’alba, in una via Veneto triste, abbandonata, la solitudine che regna, l’incontro significativo, muto, con una signora elegante e matura, si guardano, si fissano per un attimo, viaggiano nei loro ricordi, in un silenzio assurdo, continuano la loro strada, ieri ed oggi, nulla cambia, “quando voi vi svegliate io vado a dormire “, dice Jep.
Gambardella, viaggia così in una umanità persa, alla ricerca affannosa di qualcosa che vorrebbe e che non mai ha avuto, un sentimento, una ragione di vita, “sono vecchio” , dice a Ramona, Sabrina Ferilli, spogliarellista in un mare di polacche.
Jep vive in un turbinio di superficialità, corrotto, impoverito, amorale, godereccio in una folla malata appassita velocemente in una Roma ormai indifferente, seppur presa nell’attesa di qualcosa che arrivi.
L‘applauso degli spettatori dal terrazzo del Gianicolo allo sparo del cannone a mezzogiorno, apre “La grande bellezza”, il fontanone, il busto di Garibaldi, la terrazza del Pincio, il “cuppolone” di San Pietro, la campane nostalgiche di una Roma sparita, il cielo azzurro oscurato da nuvole di storni, quattro cialtroni: “li mortacci tua, che cazzo” scene, individui, piani sequenze d’autore, si muovono e fotografano brutalmente una città ferita, alla resa e indolente.
Ci volevano un signore di Rimini e uno di Napoli, cantori illustri, per farci sentire l’odore, assaporare, fotografare Roma nella sua atmosfera di ieri e di oggi, nel bene e nel male.
Per fare un grande film, ci vuole un grande cast e “La grande bellezza “ è un grande film.
“… è tutto sedimentato sotto il chiacchiericcio e il rumore, il silenzio, il sentimento, l’emozione e la paura. Gli sparuti e incostanti sprazzi di bellezza e poi lo squallore disgraziato e l’uomo miserabile, quel posto si chiama vita”.