I meno giovani sicuramente ricorderanno la rivoluzionaria Domenica in della fine degli anni ’80. Allora Gianni Boncompagni decise di trasformare il pubblico, che negli anni aveva perso parte dell’entusiasmo iniziale e che più recentemente, nel corso dei lunghi pomeriggi domenicali, inquadrature impietose riprendevano in atteggiamenti imbarazzanti al limite della letargia. Furono così selezionate un centinaio di ragazze rumorose ed agitate che assistevano al programma e che talvolta prendevano parte allo spettacolo vero e proprio.
In una di queste edizioni la conduzione fu affidata a Marisa Laurito. Ancora prima di conoscerla, Marisa già mi stava simpatica. Non perché apprezzassi in modo particolare la sua professionalità e il suo modo di porsi al pubblico: troppo bene sapevo, per esperienza diretta, che ben diversi possono rivelarsi i personaggi televisivi sullo schermo e dietro le quinte!
Marisa Laurito mi piaceva comunque, perché, come me, aveva l’erre moscia. Mi succede sempre. Quando incontro qualcuno con la erre moscia, d’istinto sono più aperta, più disponibile, più tollerante… Non che siano in assoluto migliori; sono tali e quali gli altri e a volte poi, con il passare del tempo, mi rendo conto che non avrei dovuto essere così aperta, così disponibile, così tollerante…
Ma con Marisa questo non si è proprio verificato. È come appare, forse anche meglio.
Ricordo con un pizzico di nostalgia le mezz’ore trascorse in quell’ultimo camerino a destra in fondo al corridoio. Marisa era seduta, o meglio semidistesa, davanti allo specchio per l’interminabile rito del trucco. Geneviève, la sua fedelissima factotum, ed io, raggomitolate sul piccolo divano, cercavamo di aiutarla a gestire gli innumerevoli impegni. Bisognava organizzare il calendario delle interviste e dei servizi fotografici; selezionare e discutere il materiale relativo agli ospiti previsti per la puntata in preparazione; rivedere la scaletta e i piani di produzione.
Nonostante ci fosse molto da fare e fossimo sempre stretti con i tempi, il suo buonumore, la sua ironia, il suo sorriso non venivano mai meno. Ho lavorato con lei per circa nove mesi e di quel periodo conservo complessivamente un ottimo ricordo. La sua disponibilità, la consapevolezza che tutti collaboravano per conseguire un obiettivo comune e il forte senso del gioco di squadra, facevano di questa “napoletana verace” una vera star che si era costruita proprio sulla semplicità e l’antidivismo.
Riusciva sempre a dare il meglio di sé nel corso della trasmissione ed era bravissima ad uniformarsi alle diverse situazioni che si presentavano. Un sano e lucido miscuglio di spontaneità e mestiere ne facevano una vera professionista del mondo dello spettacolo. Infilati jeans e maglietta era bravissima a confondersi tra le ragazzine schiamazzanti che aveva intorno; ma con la stessa semplicità indossava un vestito esagerato con voiles e pizzi per atteggiarsi da sciantosa e cantare una canzone napoletana. E il tutto sempre con una grande autoironia.
Per me in definitiva Marisa Laurito è la regina dell’ossimoro, la figura retorica in cui due termini contraddittori compaiono insieme. Se penso a lei mi vengono in mente espressioni, quali misurata esagerazione, spontanea ricercatezza, chiassosa signorilità, stile genuino, autenticità raffinata. È il trionfo dell’antitesi, della contrapposizione. E proprio per questo è un eccellente paradigma dell’animo umano.
Non credo sia stato un caso il grande successo di pubblico che il programma raggiunse quell’anno. La sua simpatia, i suoi modi, il suo sguardo aperto e sincero bucavano lo schermo e si posavano con delicatezza e senza far rumore sui cuori di quanti stavano a guardare.