Dunque qual è stato il fatto del quale i media hanno parlato diffusamente pur essendo stato escluso l’occhio della telecamera, il Grande Fratello che tutto controlla e mistifica? Il funerale di Giulio Andreotti,
peraltro personaggio che oltre aver scritto la storia d’Italia del secondo Novecento è stato massimamente televisivo. Basti pensare alle sue frequenti apparizioni nel salotto di Bruno Vespa, quel Porta a Porta che
proprio il Divo Giulio definì “la terza Camera” dello Stato Italiano.
Le esequie di Andreotti, sotto la cupola seicentesca della sua parrocchia, San Giovanni dei Fiorentini in via Giulia (una cupola dalla forma stranamente allungata, tanto che i romani l’hanno nei secoli soprannominata
“il confetto succhiato”) sono state rigorosamente private, presumibilmente per volontà dello scomparso. Un Andreotti coerente, anche nell’ultimo respiro, con l’imperativo di tenere sempre abbassato il velo sulla
propria vita personale e familiare. E una scelta categorica dei suoi, che dal padre, marito e nonno hanno mutuato l’esempio di semplicità, dell’essere invece che dell’apparire.
E dunque, niente riflettori dentro la chiesa. Per una messa funebre che è stata celebrata, anche in questo caso con irremovibile, frugale scelta degli Andreotti, dal parroco di San Giovanni, lo stesso che ha portato la comunione al novantaquattrenne uomo politico fino all’ultimo giorno, e che avrebbe voluto cedere il passo per le parole e i riti dell’addio a qualche alto prelato di quella Curia vaticana frequentata fin da giovane dal delfino di De Gasperi.
Allora, niente telecamere, una bara tanto semplice da evitare perfino le maniglie borchiate, coperta sull’altare solo da una composizione di fiori, candidi sopra un letto di foglie verdi. Il resto, gli altri, fuori
dal tempio: i paparazzi, i cameramen, i curiosi, a carpire facce, dichiarazioni, ricordi solo sulla piazzetta dell’Oro, quando l’incenso ha finito di profumare la bara e il coro accompagnato dall’organo ha smesso di cantare.
L’ultima immagine di Andreotti consegnata al mondo è stata dunque proprio quella bara spoglia e di legno chiaro, portata severamente a spalla e seguita dai familiari, stretti per mano, come mesta e dignitosa
falange, accanto al proprio caro, inerme dopo aver contribuito massimamente alle vicende della Prima Repubblica. Appunto l’esiguità delle immagini tv ha dato pregnanza alle immagini stesse. Dicevano tutto,
anche della grandezza dell’avvenimento, della sua valenza di documento storico, testimoniata dalla folla che riempiva la piazza e tutto intorno, che sciamava dalla chiesa dove mai un funerale privato è stato
tanto pubblico. Anzi, forse proprio per questo. Ché, se si fosse concesso come funerale di Stato, avrebbe allontanato la gente da Andreotti, a causa dei cordoni di sicurezza, delle auto blu, appunto delle telecamere
e di tutto il can can della spettacolarizzazione.
Che poi non sia stato un funerale di Stato non ha vietato che a sedersi sui banchi di San Giovanni dei Fiorentini ci fossero gran parte dei protagonisti della Balena Bianca, della Prima e della Seconda Repubblica:
Pomicino e De Mita, Scotti, Forlani, Iervolino, Ciarrapico, Follini, De Michelis, Carraro, Pisanu, Garavaglia, Gianni Letta, Mario Monti, Gasparri, D’Antoni e Marini, il sindaco Alemanno, il presidente del Senato Grasso.
Ma anche Pippo Baudo, i romanisti dietro al labaro giallorosso, il generone romano e i romani veraci, la milionaria Marisela Federici e i poveracci che ogni mattina aspettavano Andreotti alla messa per
chiedergli l’obolo che lui preventivamente aveva preparato in un sacchetto consegnato al parroco, come ha raccontato lo stesso don Veturi all’omelia. Parole semplici e schiette, quelle del prete umbro che ha
ricordato dall’altare il Divo Giulio. Parole che – se fossero state annacquate dalla confusione dei flashes o delle telecamere – non sarebbero arrivate così dirette a chi era venuto in chiesa a salutare il senatore a vita,il costituente, l’uomo accusato di tutto tranne che delle guerre puniche, come ebbe lui stesso a dire con una delle sue fulminanti, amare battute.
Ad Andreotti il frastuono,la gazzarra non piacevano. Nella politica come nella vita privata. Il non-film del suo funerale non poteva comunicarcelo meglio.