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Il concerto si è svolto nella maggior sala del complesso, ossia nella Sala S.Cecilia generalmente non riservata ai più ristretti concerti cameristici: ed è stato una scenografia esso stesso. L’ambiente pur grandissimo, contenente 2500 ascoltatori, era gremito all’inverosimile ed oltre la misura, con grappoli di pubblico raccolto sullo stesso palcoscenico, a destra e a sinistra del pianoforte e del pianista, su sedie assemblate al momento: e su questa strana accolita di ascoltatori, durante le esecuzioni pioveva dall’alto una luce azzurrina, quasi stellare, ad accentuare l’eccezionalità dell’evento.
Tutto ciò avrebbe dovuto esserci anche per il recente concerto sempre a S.Cecilia di Daniil Trifonov, giovane pianista russo di altissime qualità e di insolita maturità artistica, o per quello di pochi giorni fa dell’uzbeko Behzod Abdurainov alla Filarmonica, artista di squisita sensibilità, ma seguìto da un pubblico ristretto.
Magìa dei media, capaci di pilotare la pubblica opinione a tal punto. Lang Lang, con gestualità accentuata delle mani e delle braccia, ha eseguito le tre Sonate di Mozart ancora assolutamente classiche, le prime due (la n.5 K.283 e la n.4 K.282) giovanili, la terza invece, la n.8 in la minore K.310 del 1778, molto drammatica e già volta al nascente Romanticismo.
Senz’altro conquistante era la resa dei passaggi lenti, cantabili e sereni delle tre opere (specie del primo e secondo movimento della terza Sonata), in cui i piano e i pianissimo avvincevano per il tocco delicato e sfumato del pianista: ma i bruschi salti verso gli sviluppi, verso le sezioni contrappuntate, verso i Presto e le code, accompagnati dall’indurimento del tocco, inducevano a chiedersi il senso di tali contrapposizioni. Le quali acquistavano ancor più pericoloso rilievo nelle Ballate di Chopin, qui presentate tutte e quattro insieme, nella loro stupenda bellezza melodica, ma anche nella loro affermazione di energia, di forza e di ribellione.
La costruzione per blocchi, ora sensibili e sfumati, ora veementi, improvvisi, duramente plastici, quasi non facessero parte dello stesso corpo musicale, evidenziavano una concezione meccanica dell’opera d’arte, quasi non fosse una creatura vivente, ma una struttura robotizzata. In realtà da tempo si conosce questa dimensione del pianista cinese, che sovente lo conduceva verso gratuite sonorità fortissime, antimusicali. Ma ormai il pubblico è stato condotto, per finalità certo estranee alla musica, ad adorare il personaggio: più Lang Lang esaspera la spettacolarità delle sue esecuzioni, più vengono applaudite. Così è stato per i bis: il valzer di Chopin, ancorché brillante, e la Marcia turca di Mozart (ahimè!), suonate a velocità supersonica, hanno suscitato applausi supersonici, con buona pace delle istituzioni promotrici, cui vanno i proventi concreti della presenza del divo Lang Lang.