Probabilmente Raffaella ha apprezzato la mia presenza alla “prima” dei suoi programmi televisivi e i miei complimenti sinceri per i risultati artistici e di audience che, per un amministratore, sono sempre importanti. Non è quindi un’amicizia, per così dire, tra colleghi, tra persone che appartengono allo stesso mondo, al mondo dello spettacolo. E’ un’amicizia tra persone che hanno avuto ed hanno una storia profondamente diversa, ma che si stimano e si incuriosiscono a vicenda, che hanno piacere di parlarsi proprio perché vedono il mondo da angolature diverse.
Questo spiega anche il fatto che, con mia sorpresa, Raffaella abbia invitato a cena me, mia moglie e persino mio figlio e mia nuora nella sua villa al Monte Argentario non in un chiassoso ricevimento di amici, ma soli attorno a un tavolo per uno scambio di idee fatto in semplicità, sincerità e con l’ottima cucina emiliana di cui è maestra
Questo affettuoso rapporto mi ha consentito di chiederle di fare una cosa che quasi sempre lei rifiuta: venire una volta alla LUISS dove insegnavo “Teoria e tecniche della comunicazione” per parlare del tema “Il gioiello e la vetrina” e al Rotary Club di Roma, quando ne ero presidente nel 2004 (avevo lasciato la Rai due anni prima), per riflettere sul tema: “Lo spettacolo, un lavoro di cuore, ma soprattutto di testa”. Due temi tagliati sulla sua personalità umana ed artistica.
Il primo tema significava che per valorizzare un gioiello – ovviamente le sue doti – occorre curare anche la vetrina, e la vetrina è la cornice degli spettacoli in cui sempre ha inserito le sue prestazioni. E così ho conosciuto l’intransigenza della Carrà nel rifiutare qualsiasi allestimento che non fosse di alto livello, a costo di fare lunghe soste tra uno spettacolo e l’altro, finché non si trovava la giusta formula (oggi si chiama format). E a questo scrupolo dobbiamo anche il suo lungo soggiorno in Spagna (parla perfettamente quella lingua), una specie di esilio artistico che però le diede enormi soddisfazioni, in attesa che in Italia maturasse una proposta accettabile.
Ma anche quando l’allestimento era di suo gradimento, Raffaella dimostrava un’intransigenza assoluta nel curare ogni particolare e soprattutto nel pretendere, ad esempio dai suoi “boys”, la massima serietà nell’esecuzione di numeri di ballo e persino nella loro vita durante il periodo di collaborazione, quasi fosse un severo allenatore di calcio. E questo spiega il secondo argomento, quello del lavoro di testa oltreché di cuore. Raffaella si spende a fondo in ogni suo spettacolo, dando tutto il suo “cuore” (come ad esempio nella performance canora e di ballo del pezzo “Rumore”), ma nel contempo ci mette tutta quella intelligenza senza la quale non sarebbe stata lontanamente immaginabile la sua longevità artistica e il fatto che ogni sua prestazione continui ad essere un successo.
Sempre alla sua intelligenza appartiene il fatto che le sue famose “carrambate” non siano mai state taroccate. I suoi ricongiungimenti non erano realizzati da caratteristi da sfruttare per simulare situazioni artefatte, ma da veri protagonisti di eventi familiari e sociali che trovavano durante il suo spettacolo un autentico epilogo.
L’ultimo caso di un suo impegno significativo e riuscito nel mondo dello spettacolo, è il programma, contemporaneo, The Voice of Italy. Questo format funziona perché ci sono forti elementi di qualità. Un primo dato positivo è il livello delle performance dei partecipanti. E’ una gara vera alla ricerca di nuovi talenti. E’ esattamente il contrario della famosa “Corrida” dell’indimenticabile Corrado, che pur ci ha divertito per anni in varie edizioni. Non a caso quella aveva come sottotitolo “dilettanti allo sbaraglio” ed ogni esibizione si concludeva con il suono di campanacci e con il lancio di ortaggi. Qui invece i cantanti – donne e uomini, giovani e meno giovani – esprimono attitudini di canto e capacità di tenere il palcoscenico di tutto rispetto, a volte persino eccezionali. Ma c’è soprattutto l’attenzione dei quattro coach: oltre la stessa Carrà, un Paolo Pelù tanto luciferino nel taglio della barba quanto attento e persino affettuoso nel rapporto con i concorrenti, un Riccardo Cocciante dalle riconosciute qualità umane e paziente nel trasmettere la sua esperienza di fondatore dell’opera contemporanea, e infine Noemi, componente giovane del gruppo capace di esprimere autorevolezza e insieme affinità con le giovani leve.
C’è poi la meticolosa preparazione che precede le esibizioni. C’è anche il conflitto leale ma nel contempo collaborativo che si stabilisce nei duetti. Ebbene, tutti questi ingredienti sono tali da legare al teleschermo anche persone non particolarmente appassionate alla musica contemporanea, ma comunque sensibili allo sforzo dei cantanti di dare il meglio di sé con esibizioni veramente di alto livello. La riprova di ciò è data dal fatto che molte volte gli stessi coach che devono fare la scelta su chi far proseguire nella gara appaiono e sono tormentanti dal dubbio su chi scegliere in coscienza. E la qualità paga con un 15 per cento di share e quasi 4 milioni di telespettatore ogni giovedì sera sulla Rete Due.
Un altro fattore di successo è d’ordine generale e in certo modo si intreccia con l’attuale situazione del Paese. Infatti, questo spettacolo ci conferma, in modo evidente, la ricchezza delle nostre risorse umane, professionali, artistiche. Basta scavare nel terreno della nostra società reale, basta usare un po’ di amorevolezza nell’innaffiare qualche virgulto promettente e si ha l’impressione che si possa squadernare un intero campo di piante, di fiori e di frutti che possono persino farci pensare alla mitica Valle dell’Eden. Tutto questo apre a una grande speranza: quella di offrire un futuro a tanti giovani dotati ciascuno di grandi talenti, non solo ovviamente nel campo musicale, ma per analogia in tutti i settori della vita, in tutte le professioni, in tutte – usiamo la giusta parola – le “vocazioni”. Non tutti saranno ovviamente maestri nel canto, ma davvero tutti potranno dare il meglio di sé e fare esclamare a chi è un po’ più in là negli anni: ma quali splendide cose si possono ricavare dalle nuove generazioni che via via si presentano sulla faccia della Terra.
Forse è un po’ troppo vedere tutte queste cose, tutte queste speranze in uno spettacolo televisivo? Può essere. Ma in ogni caso, l’occasione per essere investiti dalla prorompente vitalità delle nuove leve è un’esperienza che ci dà la fiducia per superare il plumbeo grigiore del presente che investi soprattutto proprio i giovani
Quando è nel bel mezzo di una serie di trasmissioni, Raffaella diventa inavvicinabile, ovviamente anche per me. Così, per il caso di The Voice non ho ancora potuto dirle quanto è brava e che ha fatto centro anche questa volta. Ma in realtà non c’è proprio bisogno che le dica nulla: il meritato riconoscimento glielo ha dato un pubblico di milioni di telespettatori, che la amano profondamente. Ne sono stato testimone qualche anno fa, durante il Premio Chianciano, quando per un’oretta abbiamo passeggiato insieme per le strade del centro termale. Abbiamo dovuto più volte “rifugiarci” in qualche bar per alleggerire la pressione della folla che ogni momento si riformava appena la vedeva. Forse questa popolarità rappresenta una schiavitù, ma è anche il segno di una profonda ammirazione per un’artista che sta accompagnando veramente con belle cose e con profonda dedizione la storia del nostro Paese. Non è stato un caso se un noto settimanale fece a suo tempo una copertina con lei, Papa Vojtyla e Pertini come i tre personaggi più amati dell’epoca.