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Ancor prima che il sipario si alzasse sul teatro dell’ Ariston, #Sanremo2015 era già trend topic, l’inizio di un diluvio di tweet e retweet che hanno intasato gli smart phone degli sventurati messisi sulla stessa lunghezza d’onda. Commenti quasi sempre sarcastici, spesso perfidi, in una gara a chi sparava meglio, nella speranza di ricevere un’ eco nelle cronache del giorno dopo curate dalle principali testate giornalistiche.
Perché anche questo è stato il Festival: il resoconto degli umori e delle inventive dai social network site. E chissà se proprio questo ha contribuito al clamoroso successo, conquistando nel complesso un’audience media del 48,64%, il più alto degli ultimi dieci anni. La finale è stata vista da oltre 11 milioni di telespettatori, pari al 54,2% di share, una risalita impressionante se confrontata con la “bassa marea” dell’edizione 2014, chiusasi con un ascolto medio di 9 milione e 300mila e 43,5 di share.
Un risultato più che lusinghiero per quello che è stato da più parti bollato come il Festival della “restaurazione”, il “ritorno agli anni 50”, a causa, ci sembra, di un ingeneroso (pre)giudizio su Carlo Conti, considerato una sorta di “anestetico” della comunicazione televisiva. Più banalmente la sua formula rifugge dal sensazionalistico, evita gli “scandali” o li riequilibra azzerandoli.
Nella prima puntata gli Anania, genitori di 16 figli. Nella seconda la drag queen Conchita Wurst. Nella terza Luca e Paolo che fanno il verso a tutti e, soprattutto, alla liturgia sanremense. Alla quarta l’interrogativo sulla esibizione di Raf, ricoverato poche ore prima per una bronchite. Nella finale l’unico brivido viene dall’incidente nell’esposizione grafica della classifica. Tutto e il contrario di tutto nel motto “molta umiltà e tanta semplicità”, con un ritmo comunque serrato, ma mai nevrotico, proprio di chi conosce i ritmi radiofonici.
Può essere allora indicativo soffermarsi sul dettaglio dei pubblici della prima serata, che evidenziano andamenti tutt’altro che scontati per Rai Uno, soprattutto se correlati a quello dell’edizione passata. E’ proprio Conti a portare alla rete il maggior numero di giovani tra i 15 e i 24 anni, che svettano al di sopra del 51%, contro il 43% registrato l’anno precedente. Ragguardevole anche il bacino tra i 25 e i 34 anni, che si assesta al di sopra del 45% con un guadagno di circa 8 punti sull’edizione di Fazio. Unico segno negativo riguarda i bambini, che scendono al 30% con una flessione di circa 4 punti. Altro elemento degno di nota riguarda la contrazione dei telespettatori laureati, che flette rispetto all’edizione di Fazio di oltre il 2%, fermandosi sulla soglia, ugualmente considerevole del 46%.
Differenze che sembrano derivare dallo stile del conduttore/direttore artistico e, ancor più specificatamente, dal pubblico che si tira dietro.
E’ palese che la scelta di Conti andava nella direzione del non azzardo, sperando, si è detto, almeno raddoppio dell’ascolto medio di Rai Uno. Un successo dunque insperato, che rafforza l’idea dell’impossibilità per Sanremo di incidere sui modelli comunicativi, restando specchio del presente e mai del futuro. Ma forse è proprio questa peculiarità a renderlo ancora il principale evento mediatico della televisione italiana, mentre l’avvicendamento dei conduttori garantisce un processo attivo di resistenza e capacità ad autoriparazione, nota come resilienza, che riesce in alcuni casi ad intercettare la pancia del Paese.
di Mario Morcellini e Stefania Di Mario
Mario Morcellini: Professore Ordinario in Sociologia dei Processi Culturali e Comunicativi. È direttore del Coris – Dipartimento di Comunicazione e Ricerca Sociale. Ricopre l’incarico di Presidente della Conferenza Nazionale delle Facoltà e dei Corsi di Laurea in Scienze della Comunicazione, Portavoce nazionale dell’Interconferenza dei Presidi, Consigliere del CUN (Consiglio Universitario Nazionale). È membro Ordinario del Consiglio Superiore delle Comunicazioni.