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Lampedusa è povera e lontana, l’Expo ricca, vicina e feconda di inviti e successi, come ieri sera si è un’ennesima volta constatato, all’esibizione del pianista al Teatro Arcimboldi di Milano. Alla cui registrazione ha fatto seguito una puntata di ‘Petrushka’ sempre su Rai5, in cui un benevolo Michele Dall’Ongaro (presidente-soprintendente dell’Accademia di S. Cecilia a Roma), sottoponeva Lang Lang a varie domande, fra cui come poteva pensare che si credesse al suo ritornello -diffuso ai quattro angoli del mondo- per cui, bambino di due anni, fu folgorato dalla rapsodia di Liszt suonata nel cartoon di Tom e Jerry. Le risposte di Lang Lang sono state vaghe, ma chiarezza ci fu sulla sua dichiarata volontà di abituare alla musica i bambini fin dalla più tenera età, e per questo per i suoi concerti egli ricorre all’alta tecnologia a livello mondiale.
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Comunque ieri sera abbiamo avuto un Lang Lang meno aggressivo e veemente del solito, complice la scelta in programma delle giovanili melodie de “Le Stagioni” (1876) per pianoforte di Piotr Illic Cajkovskij, che divise nei 12 mesi dell’anno apparivano -tranne che nei luglio, agosto o settembre, mesi connotati da ritmi più serrati e da gioiose marcette- prive di aspetti descrittivi e diffuse piuttosto in languidi abbandoni al sentimento, ad eco schumanniane e a ricordi dei modi della liturgia ortodossa. Il brano meno accettabile è stato il bellissimo “Concerto Italiano” (1735) di Johann Sebastian Bach, in tre movimenti con un tipico e molto amato tema iniziale, che da ritornello ricompare anche nel Presto finale: Lang ne ha fatto un brano giocoso dal ritmo saltellante quasi infantile -pur con la pausa raccolta dell’Andante- esteso a compiaciuti e per lui facilissimi virtuosismi pianistici, concludendo sorprendentemente il celebre brano a mò di divertimento musicale, associato ad una comica espressione facciale, che forse sarebbe stato opportuno non ritrovare in primo piano. Infine: i quattro Scherzi di Chopin, fra le composizioni più complesse e drammatiche del compositore polacco, nonostante il titolo di questo genere musicale, che egli rinnovò profondamente: in proposito, chi non ha in mente l’inizio dello “Scherzo in si bemolle minore op.31”, con le famose e tese terzine che annunciano il drammatico percorso in bianco-nero del pezzo? Eppure, nonostante lo scintillìo dei brani, l’abilità delle volate, quante volte un solo passaggio, e talora una sola nota resa e tenuta immotivatamente metallica, ‘tecnologica’, esulano dal brano evidenziando senza pietà l’estraneità di fatto del pianista al sostrato profondo dell’opera. Viene istintivo paragonarlo al croato Ivo Pogorelich e, all’opposto estremo, alla profondità interpretativa del polacco Krystian Zimerman: l’esecuzione di Lang Lang di un’opera musicale come un fatto formalistico, di bravura trascendentale per lui facilissimamente accessibile, implica la sua innegabile mancanza di interiorità.