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I protagonisti di questa sera sono Sauro e Filippo, due persone completamente diverse sia per provenienza che età.
Sauro è “duro come il materiale che trasporta”: ha 37 anni, e il suo raggio d’azione è di circa 50 chilometri. Sauro è un trasportatore di marmo: subito racconta quanto, per un cittadino di Carrara come lui, il marmo sia qualcosa che ti entra dentro. Ma è anche un materiale difficile, perché si scarica su montagne, pendii e terreni ardui: non è un caso che i mezzi siano appositamente realizzati per questo tipo di carico. Il pericolo è costante, come sottolineano anche i familiari dell’uomo.
La famiglia Bianchi svolge questo lavoro da tre generazioni. Berry per la prima volta ha quasi paura, e nessuno lo solleva dal timore degli strapiombi delle cave.
Serve circa un’ora per raggiungere la cava: mano a mano il percorso si fa sempre più ripido, al punto che il camion quasi assume una posizione verticale. Berry è terrorizzato, riesce solo a dire “porca miseria”. Del resto, nel tratto finale il camion si trova quasi sospeso nel vuoto e Sauro sale persino a marcia indietro in tratti particolari.
Per scendere, bisogna compiere lo stesso percorso con trenta tonnellate di marmo. Sauro rassicura il conduttore: “Adesso è peggio”.
Pesato il marmo, e scaricato in azienda, è ora di andare alla seconda cava. Per un cavatore la difficoltà non è solo anche il trasporto: deve stare attentissimo a non superare una certa quantità di marmo, altrimenti la multa è salatisisma e deve pure rimanere fermo per due settimane.
Dentro la montagna di marmo si apre uno scenario incredibile: una “cattedrale” che fa capire al conduttore perché Michelangelo scegliesse personalmente il marmo. Il conduttore è impressionato: tra i vari viaggi effettuati, quelli con Sauro gli hanno trasmesos la passione del mestiere, perchè ha sentito il marmo “vivo”.
Filippo invece, nato nel 1986, è il primo camionista della sua famiglia: sin da piccolo ha avuto il pallino dei camion, perciò ha preso la patente pensando al camion anziché alla macchina. Inoltre è un appassionato di ciclismo: nel suo mezzo, ci sono le biciclette al fianco del posto guida. Proprio in bicicletta, i due vanno a casa del ragazzo.
“Il camion è la mia casa”, spiega il ragazzo. Poi scherza: “E il bello è che se lasci le mutande per terra, non c’è tua madre che ti urla dietro”. Filippo, in arte Tirzan, poteva scegliere la strada del ciclismo, ma ha preferito l’avventura: “Secondo me lui ha colto il vero spirito del camionista”, spiega la madre a Berry.
Filippo trasporta latte: racconta che l’unica volta che si è spaventato, è stato a causa di un colpo di sonno. Guadagna tra i 2500 e i 3000 euro al mese: appena li incassa però, ne mette da parte 1000 per comprarsi casa.
Nel viaggio insieme a Berry, il ragazzo si apre: la solitudine, la forte balbuzie da piccolo, l’assunzione di alcune sostanze quando iniziava ad entrare nel mondo del ciclismo da semi professionista. “Quando sei lì non pensi alle conseguenze: sai solo che devi pedalare più veloce”, spiega. Il suo sogno è quello di poter dedicare una vittoria alla madre, che per lui ha fatto tanto.
Si comprende meglio il significato di certe affermazioni in seguito, quando si scopre che Filippo utilizza il cognome della mamma. Figlio di una ragazza madre infatti, l’uomo conosciuto da Berry, Bruno, non è il padre biologico di Filippo: quello naturale infatti, non l’ha mai riconosciuto. Ma Bruno è nella sua vita da quando il bimbo aveva sette mesi, perciò, di fatto, ha avuto un papà.
La puntata si conclude davanti alla porta del padre biologico di Filippo, che pur sapendo dove abitava, non ha mai citofonato. Non lo fa neanche stavolta, perché non gli interessa conoscere il volto della persona che gli aprirebbe.