Il secondo appuntamento con Il Collegio 3 è andato in onda martedì 19 febbraio in prima serata sulla rete diretta da Carlo Freccero.
La classe, che si era formata la scorsa settimana, ha iniziato ad addentrasi nelle dinamiche del 1968, l’anno in cui i collegiali sono stati catapultati. In effetti la formula del docu-reality non è cambiata rispetto al passato. C’è però una differenza: l’ostentazione di una maggiore severità da parte del Preside e di alcuni docenti per far rispettare le regole rigide e ferree dell’epoca.
Inoltre si avverte subito che l’epoca presente in cui i ragazzi vivono non riesce mai a restare fuori dal Collegio, set del reality. É sempre presente nelle discussioni dei ragazzi, nei dialoghi con i loro genitori, nel loro modo di comportarsi e di porsi dinanzi ad una realtà che non sentono propria.
Tutto appare molto forzato, quasi caricaturale nella vita di tutti i giorni a cui devono abituarsi, nel linguaggio utilizzato, nella maniera in cui sono costretti a studiare. Oggi, ad esempio, è completamente passata di moda la sana abitudine di imparare le poesie a memoria. Ieri sera i ragazzi del Collegio dovevano imparare A Silvia di Giacomo Leopardi. Lo sforzo compiuto era evidente e dimostrava tutto il disagio di una maniera di studiare oggi considerata obsoleta.
Un altro aspetto caratteristico è la chiara volontà di far venire fuori la personalità dei giovani studenti soprattutto attraverso la stesura di componimenti in classe. Anche questa fase è abbastanza forzata e somiglia quasi ad una seduta di psicoanalisi collettiva. Un momento che non riesce a inserirsi nel mood del 1968.
D’altra parte tutti i ragazzi si comportano da veri attori, recitano un copione consapevoli che si tratta solo di un programma televisivo ed hanno sempre ben presente la loro vera provenienza di esponenti del terzo millennio.
Lo dimostrano anche gli spazi nei quali i giovani si presentano e presentano le loro famiglie: tutti indossano abiti moderni e si esprimono come ragazzi del nostro tempo, difficili da gestire e, soprattutto, da comprendere. Sul palcoscenico sul quale si trovano, cercano di dare il meglio con una recitazione che, talvolta, solo talvolta, tocca le corde emozionali.
Ancora: nel contesto delle puntate sono inseriti filmati dell’epoca tratti dalle Teche Rai. Purtroppo appaiono completamente slegati dall’ambientazione e non riescono a fornire un contributo positivo al racconto.
Infine: forse uno dei pochi elementi positivi è la voce fuori campo di Giancarlo Magalli che, nonostante la serietà del contesto, non fa a meno di un tono abbastanza scanzonato, necessario per mantenere desta l’attenzione del pubblico.
Un pubblico che si è rivelato abbastanza giovane. E se possiamo definire Il collegio un “teen reality”, non si può prescindere dalla considerazione che si tratta pur sempre di un prodotto scritto e sceneggiato ad uso e consumo degli ascolti.