Dispiace rilevare che uno scrittore come Carlo Lucarelli a cui si deve la sceneggiatura scritta a quattro mani con Giampiero Rigosi, sia stato in grado di realizzare un prodotto la cui credibilità è talmente scarsa da apparire, in molti passaggi, addirittura imbarazzante. Maestro del noir, Lucarelli ha ideato ben altri prodotti.
Certo, le inquietudini di un’epoca che deve confrontarsi quotidianamente con la morte e la volontà di esorcizzarne la paura creando un aldilà molto umano e riconoscibile, hanno avuto un proprio peso specifico nel confezionare la fiction. In un clima cupo e pesante, il procedere degli eventi è lento, volutamente e spasmodicamente rallentato per evidenziare particolari noir inseriti in un contesto paranormale. I personaggi, a cominciare dai due protagonisti Lino Guanciale e Gabriella Pession, sono caratterizzati da un’angoscia che si inserisce nelle atmosfere thriller e le amplifica fino a renderle insostenibili.
Il binomio amore- morte, eros e thanatos, dovrebbe ergersi solenne come in una tragedia greca inutilmente modernizzata.
Qui l’amore di Anna esplode solo dopo la scomparsa del compagno dal quale si stava per separare. Si parte da questa realtà, poi la vicenda si dipana in mille rivoli narrativi. Da una parte c’è Leonardo Cagliostro, il poliziotto ucciso in un agguato nel quale era ingenuamente caduto, dall’altro l’esistenza dello stesso (interpretato da Lino Guanciale) che non oltrepassa la fatidica porta rossa per allontanarsi definitivamente dal mondo perchè vuole scoprire il proprio assassino e salvare la vita della moglie Anna (la Pession).
E da questo momento, spazio ai dolorosi ricordi di lei (che alla fine della puntata si ritrova persino incinta) ed alla ricerca spasmodica di una persona con cui il “ghost di Rai 2” possa finalmente comunicare. La predestinata è una sedicenne che si ritrova il fantasma di Cagliostro persino a scuola. Sarà lei a fare le veci di Whoopi Goldberg trasformandosi, artisticamente, in una fotocopia sbiadita della grande attrice.
Inoltre siamo dinanzi ad uno spirito molto umanizzato: Cagliostro, non avendo lasciato questo mondo, si abbandona ad un linguaggio molto colorito e non privo di termini forti. Di quelli che forse, in un altro contesto, sarebbero stati coperti da un bip.
Cagliostro non è Coliandro. Non ha lo spessore surreale, scapigliato e trasgressivo dell’ispettore imbranato che alla fine non riesce a prendersi sul serio. E non ha neppure il guizzo dissacrante ma profondamente umano, di un Rocco Schiavone.
Cagliosto crede fermamente nella sua missione. E questo lo rende “incredibile” in tutti i sensi. Di credibile, nell’intera vicenda, c’è soltanto la statuaria presenza fisica di Guanciale che, sotto questo punto di vista fa il suo dovere: cerca di catturare il pubblico femminile e di trascinarlo su Rai2.
In una Trieste che sembra Gotham City dove nessuno parla triestino. Incredibile. (Scusate io l’ho visto ieri sera per la prima volta – vivo oltreoceano). Imbarazzante direi che è la definizione giusta.
In una Trieste che sembra Gotham City dove nessuno parla triestino. Ho visto la prima puntata ieri, visto che vivo oltreoceano. Direi che il termine ‘imbarazzante’ calza a pennello.