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Su Rai 1 è andato in onda il film tv Il bambino cattivo di cui vi proponiamo la recensione.
I bambini sono la parte più debole della società anche nella famiglie più felici ed io mi immedesimo pienamente in loro. Ha detto Pupi Avati alla presentazione del tv movie Il bambino cattivo andato in onda il 20 novembre in prima serata su Rai 1.
Il bambino cattivo: recensione
Il tocco sapiente del regista, nel raccontare la storia di un disfacimento familiare e delle conseguenze che ha avuto su un bambino di 11 anni, induce a riflettere sui diritti calpestati dei minori e sull’egoismo dei grandi che non ne ascoltano la voce.
Avati ha posto sotto i riflettori un dramma che avviene in molte famiglie quando i genitori si separano e i figli vengono sballottati da un parente all’altro, strumentalizzati soltanto per i propri fini personali. La fragilità dei minori indifesi, i danni che la disgregazione della famiglia può avere su una personalità acerba e priva degli strumenti formativi idonei, sono i temi dominanti di Il bambino cattivo.
La figura dei figli protagonista del film tv
Avati per una volta fa ridiventare protagonisti i figli, ne ascolta la sofferenza, non si chiude nella superbia che caratterizza i comportamenti degli adulti. Il bambino cattivo è un atto di accusa verso la società insensibile e indifferente ai problemi dei minori. Una società che ha dimenticato una grande verità: quei bambini indifesi saranno gli uomini di domani. E, se non si fornisce loro la forza psicologica e morale per diventare buoni adulti, ci si ritroverà con persone disadattate, nel migliore dei casi.
La Giornata Internazionale a favore dei diritti dell’Infanzia e dell’Adolescenza ha fatto da cornice alla messa in onda del tv movie conferendogli un significato ancora più intenso. Purtroppo la fiction di casa nostra non è abituata a evidenziare realtà scomode. Al contrario le edulcora e le ammorbidisce grazie ad una facile e scontata retorica dei sentimenti che non trova riscontro nella realtà.
In questo senso la fiction serve per addormentare le coscienze e stornare l’attenzione dai veri problemi. Pupi Avati ha compiuto un atto di coraggio: quel bambino, che alla fine ritrova la madre in un ospedale psichiatrico e il padre trascinato da un nuovo amore, non è finzione ma realtà. Casi analoghi, magari con sfumature diverse, sono sotto gli occhi di tutti.
La storia di Brando
Il regista ha aperto una speranza a questo ragazzino di nome Brando, interpretato da Leonardo Della Bianca, giovanissimo attore convincente e credibile, molto più di tanti interpreti adulti. Dignitosa anche la recitazione di Luigi Lo Cascio e Donatella Finocchiaro. Tutto il resto si perdeva dinanzi al dramma di questi tre personaggi, ognuno sfortunato a suo modo.
Infine: la regia si è avvicinata alla storia con tenerezza evidente che talvolta ha rallentato il ritmo della sceneggiatura e del succedersi degli eventi. Serviva per rendere più esplicita la denuncia della violenza che la società e la famiglia continuano a usare nei confronti dei bambini. Speriamo davvero che Avati abbia potuto incidere nella coscienza collettiva.