Invece qualcosa si è subito spezzato nel procedere della vicenda la cui prima parte è andata in onda martedì 17 dicembre. Innnanzitutto la pretesa di voler coniugare commedia e dramma non ha dato i risultati sperati. Paradossalmente il compito di sdrammatizzare la sua situazione era affidato allo stesso protagonista, Renato Pozzetto. Nel ruolo dell’ingegner Trezzi, proprietario di una piccola e florida azienda a conduzione familiare che all’improvviso fallisce, Pozzetto si barcamena tra pianto e sorriso, senza mai convincere pienamente. Perchè non riesce a mantenere il ritmo per tutto il tempo della storia televisiva, essendo un comico più adatto alle gag e ai siparietti di breve durata. La continua oscillazionei tra la disperazione e la battuta alleggerente fa perdere ritmo e credibilità alla storia che poi è solo apparentemente legata alla realtà.
Infatti a dare il colpo di grazia all’ingegner Trezzi è una macchinazione finalizzata a gettarlo sul lastrico. Ma anche quando l’ingegnere non ha più nulla ed è divenuto povero, non riesce a cominicare al pubblico la sensazione della miseria. Accanto a lui Nino Frassica, nel ruolo del cognato, è un’altra macchietta poco credibile. Rappresenta ancora una comicità semplicistica inserita forzatamente in una situazione che di comico ha ben poco.
Insomma la pretesa di affrontare una realtà tragica sotto l’ottica della battuta e della leggerezza, si è infranta dinanzi ad una sceneggiatura prevedibile, spesso scontata anche nel delineare i personaggi, divisi schematicamente in buoni e cattivi. E alla fine come nella più tradizionale delle favole, i buoni avranno la meglio e i cattivi saranno puniti. Un fattore, tra l’altro, in controtendenza con la fiction moderna che tende ad “ombreggiare” i personaggi, ovvero a farli oscillare tra il bene e il male senza etichettarli con il marchio della bontà o della malvagità, in modo da adeguarne il comportamento alle esigenze della sceneggiatura.
La vicenda non tralascia, alla sua maniera, neppure di valorizzare gli immigrati. Come se bastasse un ehi, Balotelli, detto familiarmente dall’ingegnere ad uno dei suoi dipendenti per esaurire l’argomento. E c’è anche uno sguardo, naturalmente superficiale, ai problemi dei giovani affrontati attraverso i figli di Mario Trezzi, alcuni dipendenti e personaggi di contorno.
Anna Galiena fa il suo meglio nel ruolo della moglie che crede di essere stata tradita ma abbandona ogni rancore nel momento in cui il marito ha bisogno del suo sostegno.
Insomma un pout pourri di elementi, in una fiction che ha molte pretese ma non riesce a comunicare nessun messaggio se non quello della superficialità.