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Lunedì 16 dicembre è andata in onda la prima puntata di Ognuno è perfetto, serie di cui vi proponiamo la recensione. Il racconto è incentrato su un gruppo di ragazzi con Sindrome di Down che lavora in una cioccolateria. Il giovane protagonista è Rick che, dopo innumerevoli lavori precari, riesce, finalmente a trovare una occupazione vera. E scopre anche l’amore.
Ognuno è perfetto recensione della serie tv
Il regista di Ognuno è perfetto, Giacomo Campiotti, ha affrontato le problematiche dei giovani Down con notevole delicatezza e con un tocco leggero che induce a riflettere. L’approccio con i ragazzi della serie è il medesimo già visto in Braccialetti rossi, di cui Campiotti ha firmato la regia. La diversità, considerata, purtroppo, ancora una sorta di malattia sociale, viene sdrammatizzata e raccontata con coinvolgente semplicità.
Rick, il giovane protagonista trova nella cioccolateria, lavoro e amore. Vive ambedue le situazioni con normalità. Ma sono i “grandi” a crearsi problemi. In particolare il padre di Rick, Ivan (Edoardo Leo) si trasforma in un “mammo apprensivo”. Soprattutto per quanto riguarda la sfera affettiva dei due giovani personaggi. Nella vicenda si inserisce un giro di immigrazione illegale che serve per trasformare la storia in un viaggio on the road alla ricerca di Tina, la fidanzata di Rick portata via dalla polizia assieme alla madre.
Ognuno è perfetto – analisi dei personaggi
Da sottolineare la spontaneità recitativa di tutto il gruppo di giovani down, ben guidati dalla mano esperta di Campiotti che non si è arreso dinanzi alle iniziali difficoltà. Anche la prova di Edoardo Leo è sufficientemente credibile come pure quella di Cristiana Capotondi nel ruolo di Miriam, responsabile della cioccolateria. Ci è sembrato, però, che Nicole Grimaudo, nel ruolo della madre di Rick, sia troppo distante dall’immagine di una genitrice preoccupata del futuro del figlio.
Su tutti, però, si erge, presenza silenziosa e coinvolgente, la figura di Emma, la matriarca dell’azienda. Piera Degli Esposti, che la interpreta, riesce a trasformarsi in una sorta di angelo protettore muto che, nonostante l’immobilità fisica e linguistica, emoziona e domina con la forza del pensiero e la voce narrante.
La serie vuole così unire le varie età della vita: dai giovani ai loro genitori fino alla terza età inserendovi la quotidianità difficile, ma non impossibile della diversità. Una diversità che si trasforma lentamente in normalità, come deve essere. Bisogna riconoscere alla Rai il tentativo di rompere gli schemi e di portare all’attenzione del grande pubblico la Sindrome di Down. Era stata solo Rai 3 qualche anno fa a proporre un docu – reality sui giovani down dal titolo Hotel 6 stelle. Precedentemente la sindrome era stata quasi ignorata in tv se non utilizzata a fini d’audience in alcuni people show.
Il messaggio della serie tv
Insomma il messaggio che leggiamo nella serie tv è incentrato sul desiderio di “normalizzazione“. Un concetto che diventa inclusivo e abbraccia problematiche fortemente attuali. Come l’immigrazione, la crisi di coppia e il conseguente il tradimento, la ricerca spasmodica di un’occupazione e la criminalità legata all’immigrazione. Il tutto sullo sfondo di una società che deve necessariamente apparire buonista. E vi riesce senza molte sbavature.