Facciamo notare che l’intervento di Crozza, pur con tutte le ingenuità delle scelte e la ripetitività dei contenuti ripresi da Il paese delle meraviglie, non è è da porsi sul medesimo piano delle battute di Claudio Bisio troppe delle quali provenivano da suoi spettacoli teatrali precedenti. Il monolgo “bisiano” era intriso di un qualunquismo ruffiano, volto ad accattivarsi il pubblico. Questa malizia Crozza non l’ha avuta ed è andato allo sbaraglio, mal consigliato anche da Fabio Fazio che avrebbe dovuto conoscere la differenza tra il pubblico de La7 e quello “sanremese” di Rai1. Bisio con furbizia, è riuscito a portare la platea dalla sua parte, parlando di politici facilmente riconoscibili anche senza farne i nomi.
Inoltre, le due ospiti femminili, Bar Refaeli e Bianca Balti sono state del tutto inutili all’economia dello show: super pagate con i nostri soldi, la prima ha suonato la batteria con tre soli colpi, la seconda è addirittura inciampata mostrando a Luciana Littizzetto come si sfila in passerella. La loro presenza è servita solo alla Littizzetto per far spettacolo mettendo in evidenza la bellezza con la sua finta e accentuata goffaggine.
In quest’ottica da inquadrare anche l’esibizione di Carla Bruni, arrivata sul palco con un tailleur ultra chic ma fintamente dimesso, proprio come lo spirito del festival. Si è lasciata dileggiare nobilmente dalla solita Littizzetto in cerca di riconoscimenti alla sua genialità creativa.
Certo, i cori osannanti gridano alla formula rivoluzionaria delle due canzoni presentate da ciascun artista. Ma Fazio stesso ne ha sminuito l’importanza con la folla dei cosiddetti “premiatori” che annunciavano ad ogni interprete il brano prescelto dalle giurie. Creando così una gran confusione. E lo stesso Simone Cristicchi ha protestato per l’ammissione di “La prima volta che sono morto“. Lui puntata su “Mi manchi” l’altro brano che ha chiesto alle Radio italiane di trasmettere al posto di quello scelto dalle giurie. Segnale forte e chiaro contro un meccanismo dato per vincente.
Pardossalmente di questo Festival restano proprio i momenti più nazional-popolari con Toto Cutugno e il coro dell’Armata Rossa e Albano che è riuscito a sdoganare addirittura “Felicità” brano che quando, nel 1982, conquistò a Sanremo il secondo posto, fu pesantemente contestato dalla sala dell’Ariston. Fischi, urla, grida di dissenso si sentivano fino ad Arma di Taggia. Altro che contestazione a Crozza. Chi c’era può testimoniarlo.
Certo, ci sono stati i nomi altisonanti della cultura musicale. Ma Veloso e Bollani sono stati relegati dopo mezzanotte, nella penultima finale. E nessuno dei “criticoni” ha fatto una piega. Così nella serata conclusiva ecco che Daniel Harding apre addirittura il festival con La cavalcata delle Valchierie e La marcia trionfale dell’Aida. Nessuno se n’è accorto, ma sembra il riconoscimento postumo dell’errore predente e un modo per riparare.
Infine: immaginiamo che cinque serate impegnate a frenare la scurrile comicità da educanda di Luciana Littizzetto siano proprio tante. Bisogna però dire che troppe volte ha tolto dai guai il partner che appariva nel pallone e stressato. Lo ha fatto con la sua solita comicità, sbeffeggiandolo chissà quanto ironicamente. Qualcosa di vero e sentito nelle sue comiche invettive contro “l’uomo Fazio” certamente c’era. Il che significa che il peso delle cinque serate è stato prevalentemente sulle sue spalle. E il piccolo chierichetto Fazio, quando proprio non sapeva cosa fare, forte del consenso critico che sentiva alle spalle, ha tirato fuori persino le imitazioni di Bongiorno, Bruno Vespa e Minà. In altri contesti, chissà quanti sberleffi.
Infine: l’affollamento di ospiti ha fatto sembrare il palcoscenico dell’Ariston una sorta di Concerto del primo maggio. Lo scopo è chiaro: mettere nella scaletta di tutto di più. Proprio come recita lo slogan della Rai. Ma non tutte le ciambelle son riuscite con il buco. E per fortuna, qui non c’è la solita Littizzetto a ironizzare anche su questa innocente battuta finale…