Pannofino è dotato, certamente, di un grande mestiere, che gli ha consentito di entrare nel personaggio. Ma, bisogna dirlo, nel caso specifico, non è quello delineato da Rex Stout. L’attore e doppiatore, cerca di imitare Buazzelli che, nel ruolo, era perfetto. Se la cava nel ricreare le atmosfere wolfiane, ma è lontano da tutta la filosofia di vita di Wolfe che ruota intorno a due pilastri essenziali: l’amore sviscerato per le orchidee, che coltiva personalmente nella serra sul terrazzo del suo appartamento e la tendenza ad allontanarsi da casa il meno possibile. Wolfe vive nel suo appartamento 24 ore su 24. A questi due tratti essenziali va aggiunta la passione per la buona cucina alimentata dal cuoco personale, Fritz. Naturalmente in primis spicca il grande fiuto investigativo che lo porta a risolvere puntualmente, casi intricati e difficili per le autorità di polizia.
Ma il punto è: quanto di tutto ciò vedono i telespettatori italiani nella serie di Rai1? Innanzitutto Wolfe è lontano da New York, si trova a Roma per risolvere casi apparentemente difficoltosi ma certo non all’altezza della sua fama internazionale. Quindi non si è potuta constatare la maniacale passione a restare incollato alla poltrona e a muoversi solo tra le mura domestiche, attrezzate, tra l’altro, con porte segrete, falsi specchi, microfoni nascosti. Conoscere Nero Wolfe significa vederlo, con mascherina e attrezzi chirurgici, operare sulle sue dilette orchidee e imporre un religioso silenzio intorno a se. Amarlo vuol dire sorridere dei sottili battibecchi tra lui e Archie, giocati sul filo dell’ironia e scrutarlo quando si compiace dei buoni piatti preparati per lui, con cura meticolosa, dal fido cuoco Fritz.
Ora, Andy Luotto, nel ruolo del cuoco italiano, se la cava alquanto bene, mettendo a frutto la sua esperienza culinarie nel programma che conduce sul canale satellitare Alice.Ma tutto il resto della filosofia di vita di Nero Wolfe è lasciato al caso, o forse solo abbozzato.
Insomma il Nero Wolfe di Tino Buazzelli resta insuperabile per i telespettatori che hanno avuto l’occasione di vederlo, a cavallo tra la fine degli anni sessanta e gli inizi degli anni settanta. Alle new generation del piccolo schermo è presentato solo un surrogato dell’originale: troppi elementi confliggono nella presentazione del personaggio Wolfe che, a questo punto, non risulta godibile.
Infine: nel ruolo di Archie Goodwin Pietro Sermonti non è all’altezza di Paolo Ferrari. E’ statico, ingessato, non ha la leggerezza del suo predecessore, sia nel linguaggio che negli atteggiamenti. Per questi motivi, riconosciuti senza dubbio anche da Raifiction, la seconda serie non è stata confermata. Fortunatamente.