Al centro ci sono i buoni sentimenti, la ricerca di sè stessi e l’affermazione delle proprie capacità professionali e umane, nonostante le difficoltà incontrate e le menomazioni fisiche Le storie vengono raccontate in un loft dall’arredamento casual, tutto colorato, stracolmo di oggetti, in un disordine “ordinato”: rispecchia il modo di concepire la propria stanza di una ragazza di venti anni che vi accoglie i suoi amici con i quali si intrattiene.
Tutto sembra confezionato nella maniera migliore, secondo un trend che tende a coniugare nel dì di festa, sentimenti e emozioni, sofferenza e positività. A questo dictat si è attenuta scrupolosamente la Stand by me, casa di produzione che ha realizzato il programma.
Ma non basta. Nell’ideazione del docu-reality è stato omesso, o forse sottovalutato, un fattore essenziale: la ripetitività. Le vicende umane raccontate, infatti, anche se catturano l’attenzione per il ritmo veloce e scattante con cui vengono presentate, nascondono un dejà vu che richiama le atmosfere di altri docu-reality passati in video. La sofferenza, la disabilità, la ricerca della normalità rincorsa e conquistata con vincente ostinazione, sono state già rappresentate in altri programmi televisivi. E il ripetersi di certi eventi, in veste differente, non giova all’originalità del programma. Un programma che punta i riflettori su uno spaccato di umanità sofferente e che, in qualche maniera rimanda ad una Domenica in condotta da Lorella Cuccarini in cui si presentavano, quasi esclusivamente, casi umani.
Non basta la indubbia e indiscussa freschezza giovanile di Bebe Vio, animata dai migliori sentimenti, a salvare il pomeriggio di Rai1 che deve contrastare la concorrenza di Canale 5 a quell’ora in onda con la corazzata di Domenica live.
Non basta l’atmosfera gioiosa e la leggerezza ironica con cui la padrona di casa si intrattiene con i propri ospiti. Nella prima puntata vi abbiamo trovato Paola Turci e Pif: anche loro portatori di storie di indubbio interesse umano.
La via è una figata! può essere considerato un inno alla vita, un messaggio di fiducia che la campionessa paralimpica intende lanciare solo ai suoi coetanei. Ma è un programma fragile, pur nella complessità delle storie. E’ un programma, infine, che dovrebbe avere la metà della durata attuale.