L’opera di Umberto Giordano è stata accolta dal gradimento totale e assoluto. Qualche piccolo fischio è abortito sul nascere, risucchiato dalla potenza scenica. Nessuna contestazione ma solo apprezzamenti per il protagonista Yusif Eyvazov che ha vinto la sua sfida ed ha convinto lungo tutto l’excursus della rappresentazione. Eyvazov è riuscito a comunicare il dramma in atto, ad azzerare la distanza secolare tra il passato ed il presente. Ad accrescere la suggestione hanno contribuito la puntigliosa ricostruzione dell’epoca della Rivoluzione francese, i costumi che rispettavano in toto le mode del tempo.
Un discorso a parte meritano le musiche magistralmente dirette da Riccardo Chailly che era sullo stesso palcoscenico 32 anni fa. Il direttore d’orchestra milanese è riuscito a creare una sonorità differente per ognuno dei quattro quadri di cui si compone l’opera. Le note hanno quasi visualizzato gli ambienti evocando atmosfere teatrali mai pesanti, ma perfettamente inserite in un racconto che commuoveva e interessava e nello stesso puntava i riflettori sul dramma del giovane protagonista al quale, alla fine, non è stato possibile salvare la vita.
Quattro quadri, dunque, che prendevano forma, l’uno dopo l’altro, si dipanavano nel susseguirsi degli avvenimenti storici e incastonavano i protagonisti nei loro stati d’animo. Si inizia con la pretenziosa leziosità della fine del Settecento con i nobili che non vogliono rendersi conto di quanto sta accadendo. Si continua con l’euforica partecipazione del popolo alle prime avvisaglie dei moti rivoluzionari. Il popolo, nel terzo quadro, si trasforma in una sorta di animale feroce e aggressivo, avido di sangue e di morte. Su tutto, nel quarto ed ultimo atto, scende, pietoso e tragico, il grido del sentimento che ha la sua apoteosi nel sacrificio d’amore.
Il più grande merito di Chailly è stato di aver mostrato chiaramente come il verismo abbia prodotto grandi capolavori. E sia stato in grado di far parlare anche il cuore. Tutto questo nell’Andrea Chenier è stato notato e apprezzato. Soprattutto il protagonista è stato presentato come un uomo puro con ideali che sono stati spezzati o, peggio, tranciati, dalla ghigliottina.
Buona performance anche per Anna Netrebko che si è rivelata un’intensa Maddalena, credibile in tutte le sfaccettature della sua personalità. Il soprano ha debuttato nel ruolo ed ha vinto la sua scommessa grazie alla voce che ha assecondato la scrittura di Giordano in ogni fase.
Ottima regia di Mario Martone che ha inserito il taglio cinematografico in un contesto teatrale ottenendo un risultato di spiccata suggestione evocativa.
Ecco, se proprio si dovesse trovare un difetto, forse potrebbe essere rinvenuto nella spinta troppo intensa sulla drammaticità degli eventi e sulle tinte troppo scure della rappresentazione. Un piccolissimo peccato veniale che si perde nella sontuosità del tutto.