Sono molte le pretese con cui si è presentata su Canale 5, Immaturi- la serie, la cui prima puntata è andata in onda venerdì 12 gennaio. Ispirata alle due pellicole cinematografiche, ne prende le distanze per l’inserimento di nuovi personaggi e per le dinamiche molto più diluite necessarie a reggere otto puntate che, si spera, non siano traballanti come la prima.
Innanzitutto le atmosfere variamente colorate e tendenti a tonalità scure, avevano lo scopo di dare alla storia un’aura di vintage sofisticato e intransigente. Pochi i riferimenti al passato dei protagonisti a cui il Ministero della Pubblica Istruzione ha imposto di ripetere la prova della maturità. La sceneggiatura era interessata molto più a quanto accade al presente, in una classe di un liceo romano dove addirittura madre e figlia si ritrovano sugli stessi banchi accomunate dal medesimo obiettivo: sostenere l’esame di maturità.
La convivenza di giovani e meno giovani non appare credibile, è costruita su basi fragili in un contesto che sembra sfaldarsi da un momento all’altro.
La scuola è rappresentata molto superficialmente, così come gli stereotipi umani protagonisti della vicenda. C’è la Chef (Nicole Grimaudo) che sta curando una dipendenza dal sesso, il “bamboccione” (Ricky Memphis) che a 40 anni vive ancora in famiglia e ingurgita con goduria le polpette della mamma. Un “diversamente giovane” che la sera preferisce seguire Le iene su Italia 1 piuttosto che trovarsi una donna. Encomiabile Mediaset che non perde occasione per promuoversi. Lo fa anche poco dopo mostrando un servizio del Tg5 in un trionfo di auto celebrazione.
C’è il giovane toccato, subito dopo i diciotto anni, dalla chiamata religiosa e divenuto prete. C’è il play boy (Luca Bizzarri) che colleziona donne e, per non farsi incastrare, finge di essere sposato con un figlio di 5 anni. E c’è la signora viziata, ricca sfondata grazie ai soldi del marito (Sabrina Impacciatore) che va in crisi quando scopre il fidanzamento della figlia con il figlio di un plebeo conducente di autobus. Tentativo alquanto banale e superficiale di rappresentare il divario tra classi sociali.
La fiction è apparsa un castello di carta pronto a disintegrasi ed a stravolgere sentimenti e rapporti umani. Una girandola di situazioni dove gli adolescenti sono costretti a convivere con gli “anta”.
Inquieta alquanto la recitazione, spesso in dialetto romano, che non riesce a rendere credibile gli stessi interpreti. La sensazione finale è che tutti sembrano giocare ben consapevoli di essere in un mondo irreale. Roma, dove è ambientata la serie, appare solo sullo sfondo, grazie a qualche rara immagine, per di più da cartolina.