Probabilmente gli sceneggiatori, con a capo lo stesso scrittore, hanno creduto che un allontanamento dallo stile vincente e convincente di Montalbano, potesse destabilizzare il pubblico e non identificare il prodotto nella cifra letteraria di Camilleri.
Forse per questo motivo è stato scelto Riondino che già si era calato nel ruolo de Il giovane Montalbano.
Il denominatore comune di tutto il film Tv, pur nella diversità della storia raccontata, è proprio il richiamo al passato del Camilleri televisivo. Michele Riondino si muove nella Montelusa del 1877 che fa pensare alla Vigata di Montalbano. Certo l’intento di Camilleri è proprio raccontare la città immaginaria del suo personaggio principale più di un secolo prima che lo stesso commissario iniziasse a indagare. Ma il mare, le nuotate di Giovanni Bovara sono molto simili a quelle del suo successore. Non è un caso infatti che il Tv movie si concluda proprio con il protagonista che, una volta scagionato, durante la notte, prende il suo cavallo, si reca sulla spiaggia, si toglie la camicia e, lentamente entra nell’acqua quasi in un abbraccio purificatore.
Il regista Gianluca Maria Tavarelli ha puntato, nella seconda parte, su atmosfere abbastanza oscure simbolo del buio morale e delle dinamiche mafiose dalle quali il protagonista è rimasto intrappolato. Ma nella parte iniziale la luce di Vigata era presente vivida e ben sottolineata da una accurata fotografia. Il Tv movie è praticamente diviso in due parti: ognuna è caratterizzata da un dialetto predominante. Il protagonista infatti si presenta agli occhi dei telespettatori come un uomo del Nord che, tornando nella sua città d’origine, Vigata, ha la mentalità di un genovese integerrimo.
Per salvare la reputazione e soprattutto la vita, Bovara deve realizzare una regressione: far riemergere la propria sicilianità e ragionare come un “vigatese” per contrastare, con le medesima logica, le dinamiche dei suoi avversari.
Certo Riondino fa del suo meglio per sdoppiare la sua personalità e vi riesce in maniera estremamente dignitosa.
Riconosciamo al regista ed agli sceneggiatori di non essere caduti nella trappola del film in costume oppure della soap opera made in Sicily. Siamo in presenza di una storia che evoca la tradizione western sia italiana che americana. Ma i personaggi siciliani sono stati caricati in modo eccessivo al punto che spesso assomigliano più a delle maschere dai lineamenti distorti all’inverosimile.
La telecamera posta in primo piano sulle facce spesso stravolte fa pensare persino ad una rappresentazione teatrale in cui il tragico ed il grottesco sono equamente distribuiti lungo il racconto. Camilleri ha voluto evidenziare, attraverso la vicenda del protagonista, l’ambiguità di una società in cui tutti i personaggi recitano un copione ben determinato.
Infine la prova d’attrice di Ester Pantano nel ruolo Trisina Cicero, giovane donna dai costumi altrettanto ambigui, appare convincente ma slegata dalla coralità della recitazione. Una recitazione in cui le “maschere” siciliane dei mafiosi assumono spesso le sembianze di personaggi favolistici.