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Intervistato da un giallista italiano sulla cresta dell’onda come Donato Carrisi, Simenon jr, al quale tocca gestire l’approccio dei media all’opera del padre, spiega che il grande scrittore aveva un atteggiamento liberale nei confronti degli adattamenti con il commissario.
“Dopo il Maigret di Jean Renoir, suo amico, e quello di Decoin, si trovò in disaccordo con il produttore della terza versione cinematografica e lo mollò. Da allora si abituò all’idea che il personaggio potesse divenire altro sullo schermo. Certo, conservò sempre il diritto di intervenire sulle trasposizioni della sua creatura. Ma non lo fece mai, convinto che avrebbe in fondo danneggiato la propria invenzione. Piuttosto, non andava a vedere le pellicole tratte dai noir che firmava. Tanto continuava a scriverne altri e Maigret conservava la sua vitalità. A me tocca invece di vigilare sugli adattamenti, perché non c’è più chi inventava le storie del poliziotto parigino. Però l’interesse che i giovani hanno nei suoi confronti conoscendolo oltretutto grazie ai nuovi media e soprattutto affezionandosi alle serie tv dimostrano che non è un personaggio per nostalgici, ma che ha una identità tanto marcata da riuscire a sopravvivere a tutto”.
Ma John quando ha conosciuto Maigret? “Per la verità da giovane leggevo i romanzi che mio padre chiamava difficili. Insomma quella produzione che intervallò i Maigret giovanili, all’inizio degli anni Trenta, ai quali Simenon tornò 15 anni dopo, dicendo che riprendere a raccontare il piedipiatti era per lui come tornare a casa e sedersi in salotto, tanto il personaggio gli era familiare. Quanto a me, il commissario lo incontrai in carne ed ossa, nella persona di Rupert Davies, che lo interpretava nella serie televisiva inglese degli anni Sessanta. Era venuto da noi e chiese a mio padre che cosa facesse Maigret quando rientrava a casa la sera. Papà chiamò la cameriera e le diede una pacca sul sedere. Poi gli disse: ecco, fallo anche tu. E Davies diventò paonazzo”.
Di Maigret ce ne sono stati italiani, inglesi, francesi. “Adattati alle culture di ciascuno, ne hanno fatto anche uno giapponese e pensate come doveva essere la signora Maigret”, ammicca John Simenon. Il quale rivela anche che tipo di rapporto ci fosse tra lo scrittore e la sua creatura. “Lo indica in un libro, Le memorie di Maigret. Il poliziotto si lamenta che il proprio autore non spiegasse quale fosse la vita di un poliziotto nella Ville Lumière. Insomma, semplificava troppo, era l’appunto. E gli rimproverava anche di accettare attori non adatti ad interpretarlo. La realtà è che tra Simenon e Maigret il rapporto era stretto e cordiale, a differenza di Conan Doyle, diventato tanto geloso della popolarità del suo Sherlock Holmes da decidere di ucciderlo in un libro, salvo poi resuscitarlo per placare le proteste dei lettori. Invece mio padre aveva deciso in anticipo di mandare a un certo punto in pensione il suo amico di carta, che in fondo era ciò che Simenon voleva essere, un rammendatore di destini. Per questo cinque lustri dopo lo riportò ad indagare sugli assassini”.
Il Maigret di Gino Cervi
Ma perché tanti attori vogliono cimentarsi con un investigatore tanto famoso da risultare ingombrante? “Perché è fatto di carne e sostanza – spiega John – ed ha difetti naturali. E poi a una lettura approfondita intriga, in quanto è molto più complesso di come appare”.
Ecco allora perché all’erede di cotanto padre piace il nuovo Maigret inglese al quale dà il volto Rowan Atkinson, il quale si è dovuto scrollare di dosso nientemeno che l’antitetico personaggio di Mister Bean. E’ un Maigret introverso, riflessivo. Non stempera la tensione delle inchieste con i manicaretti, è magro, concentrato sulle proprie trame mentali. Scansa le battute, si nasconde sotto l’ombra del cappello e dietro il fumo della pipa, pure questa fumata con piglio cerebrale invece che con voluttà. Vive in una Parigi anni Cinquanta, buia e umida nei vicoli stretti, fumosa e al neon nei locali dello striptease.
Nel suggestivo film-tv di 90 minuti visto ieri a Roma deve sbrogliare il caso di un serial killer che uccide solo donne coi capelli castani intente a camminare quando cala il buio nelle strade di Montmartre. Uscirà vincente dall’indagine ma con l’ombra del ricordo della figlia scomparsa a 24 anni, l’età di alcune di quelle sventurate fatte fuori dal maniaco armato di coltellino. La signora Maigret è Lucy Cohu, anch’essa fuori dai soliti schemi. Prosperosa ed espansiva quanto il consorte è riservato. Capace anche di disapprovare certi metodi di lavoro del suo uomo. Insomma, non una mogliettina Maigret-dipendente.