Il moderatore e critico cinematografico Enrico Magrelli introduce evidenziando l’emozione post proiezione. Prima che la notte sarà trasmesso il 23 maggio, giornata della legalità.
Partono subito le domande
Per me questa storia è basata su due pilastri: da un lato Pippo Fava intellettuale libero che tenta di affermare la propria libertà in tutte le forme espressive che frequenta; dall’altro lato Pippo Fava uomo generoso che sceglie di restituire alla società ciò che ha ricevuto. Per questo abbiamo deciso di raccontare solo l’ultima fase della sua vita. Si può dire che ‘I Siciliani’ anticipi l’era che stiamo vivendo adesso, quella di internet, si trattava, infatti, di un magazine pensato in maniera strutturata, in cui l’attualità, lo studio delle arti – dalla letteratura al cinema – e delle vicende del territorio sono presenti sullo stesso piano.
Tinni Andreatta, direttore di Rai Fiction, sottolinea come sia nella linea editoriale realizzare opere che raccontino personaggi che hanno lasciato un segno con le proprie scelte nel percorso e sviluppo del Paese. Mi sembra molto toccante la scena in cui lui fonda ‘I Siciliani’ in cui dice ai Carusi: “noi parleremo di vita” e questo è il senso di quello che è l’alto livello del personaggio. Vicari ha voluto proseguire nel raccontare l’eredità raccolta dai giovani dopo la sua morte, dice la Andreatta.
Quando si racconta persone così, il regista e gli attori sono presi più dalla volontà di raccontare la verità storica o si riesce a mantenere una libertà poetica, che può condurre a una verità ancora a più ampio respiro?
Fabrizio Gifuni: assolutamente c’è stata libertà poetica,a maggior ragione raccontando un personaggio come Pippo Fava, il quale aveva coniugato questi due aspetti. Lui è stato un grandissimo giornalista d’inchiesta, ma al contempo era in grado di raccontare la realtà in maniera affabulatoria, attraverso un uso del linguaggio poetico e teatrale. Chi lo ha conosciuto ricorda come faccontasse qualsiasi cosa in maniera epica. Aveva una capacità immaginifica che non significa inventarsi una realtà diversa da quella che era.
Quando si racconta una storia, c’è già un margine di libertà, è necessario che ci sia. Devo aggiungere anche che il suo amore per il teatro e questa sua abilità di narrare la realtà come se fosse una commedia umana, me lo hanno molto avvicinato visto che passo la maggior parte del tempo della mia vita in teatro. Pippo Fava ha speso anche gli ultimi anni della sua vita a descrivere in maniera ostinata l’estrema permeabilità del tessuto catanese alle organizzazioni criminali, operando in un’epoca in cui tutto ciò era rifiutato non solo dalle persone conniventi, ma anche dalla cittadinanza per quel senso di vergogna – basti pensare anche a quanto tempo abbiano impiegato le regioni del Nord ad accettare che da loro ci fossero infiltrazioni mafiose.
Come avete operato sul campo?
D. Vicari: Claudio Fava e Michele Gambino, essendo stati testimoni diretti, hanno dovuto allontanarsi un po’ per poterlo raccontare a 360°. Quindi è stato più un lavoro psicologico.
Abbiamo fatto un lavoro di scavo per costruire il contesto umano tramite una sorta di lavoro teatrale, ricreando una situazione tra maestro e allievi. Ciascun attore si è documentato per conto proprio contattando le persone collegate ai personaggi e, in un secondo momento, abbiamo calato il film nella città.
A tal proposito interviene Dario Aita, che dà volto a Claudio Fava, figlio di Pippo
Siamo partiti prima con un piccolo nucleo, composto da me, Daniele e Fabrizio e poi abbiamo allargato agli altri ragazzi che costituiscono la redazione, provando a creare delle relazioni. La possibilità di far prove insieme, sommata al fattore di aver girato a Catania condividendo il tempo anche post riprese, è stato molto utile anche per rendere quello spirito di gruppo nel film.
Qual è stato l’impatto di Rai Fiction sulla sceneggiatura e nella scelta del regista?
T. Andreatta: c’è un grande lavoro da parte della Rai, ma che non ha a che vedere con l’aspetto televisivo, questo film sarebbe stato uguale se fosse uscito al cinema, ne sono sicura. Il fatto che non ci siano delle rappresentazioni grafica di violenza è perché non si parla di questo; i delitti vengono rappresentati tramite la fotografia e si è deciso di dare un’impronta giornalistica. Il cuore della storia è la libertà di stampa.
La scelta del regista è stata proposta da IIF ed è stata accolta in maniera entusiasta da noi, ma credo che i confini tra piccolo e grande schermo si siano azzerati ormai se pensiamo che con noi hanno lavorato recentemente Francesca Archibugi, Francesca Comencini, Marco Tullio Giordana.
Vicari, durante la presentazione prima della proiezione, ha parlato di giornalisti con la schiena dritta. Oggi, secondo voi, ce ne sono?
Siamo in un’epoca storica in cui è tutto più estremamente complesso, nell’era della rete. La schiena dritta uno se la mette da solo, molto spesso si conduce una vita molto più scomoda, ma magari si è un po’ più sereni con se stessi.
D. Aita: forse farò un’affermazione impopolare: credo che manchino giornalisti con la schiena dritta anche a causa degli italiani, che magari non lo richiedono a gran voce.
Aita, essendo siciliano, quanto conosceva questa storia?
Non posso che complimentarmi con voi perché quando si parla di questi temi si tratta di cinema scomodo. Questi film servono ad accendere i riflettori su un problema di sistema: il giornalista è vessato all’interno del giornale, che a sua volta lo è all’interno di un sistema. Non abbandoniamo la presa, siamo soli, faccio questo invito a voi…
D. Vicari: questa questione è centrale perciò penso che Fava è uno che è tra noi. Lui non ha messo in gioco “solo” la sua vita e basta, ma il proprio benessere. Quando ha scelto di fondare un giornale auto-prodotto, cioè senza padroni, trascina se stesso e i giovani allievi in una situazione che vivono la maggior parte dei giornalisti oggi, la precarietà. Anche in questa situazione, sia i giornalisti che noi che facciano cinema, abbiamo il dovere di essere fino in fondo critici, dobbiamo essere liberi e se non lo siamo non facciamo buon servizio né a noi stessi né alla comunità. Raccontare una storia come quella di Pippo, facendo notare anche le sue contraddizioni, accende una luce su questo tema e lo dico col cuore: questo film è un omaggio a voi giornalisti, a chi fa questo mestiere, per cui, ancora oggi, si muore. Bisogna avere coraggio per dirsi le cose come stanno e molti giornalisti ce l’hanno e lo pagano.
Vicari cos’hanno hanno detto i famigliari se hanno avuto modo di vederlo?
Purtroppo la moglie e la figlia non sono più con noi. Ha avuto modo di vederlo solo Claudio Fava, speriamo di poter far vedere presto anche agli altri famigliari il lavoro. Tutto il lato privato è raccontato dall’ottica del figli per cui tutto ciò che manca è perché è fuori dal radar di questo ragazzo.
Avete avuto la tentazione di portarlo al cinema?
Paola Lucisano (IIF): No, abbiamo sempre pensato come destinazione il piccolo schermo, ma certo con taglio cinematografico. La tentazione c’è stata una volta visto il film perché eravamo molto entusiasti.