Quelli della Luna ha chiuso così il primo ciclo di appuntamenti. Un programma con il titolo ispirato dal 50° anniversario del Primo sbarco sulla Luna, che ha voluto richiamare le lune piene e quelle storte dei campioni. Le grandi gesta e le difficoltà, le fortune e le disgrazie dei più grandi sportivi della storia.
Giampiero Mughini ha provato a portare sulle reti del Biscione un racconto dello sport di qualità e lontano dal chiacchiericcio frenetico, al contempo tenuto su binari accessibili. Gli ascolti, però, hanno messo nero su bianco, già dall’esordio, non poche difficoltà nel catturare il grande pubblico.
Di seguito, potrete ripercorrere il racconto in diretta dell’ultima puntata di Quelli della Luna.
“Il calcio moderno è abitato sempre più da omoni, prestanti, potenti, sempre meno da poeti. Come Roberto Baggio, con quel tocco con cui accarezava la palla, poesia”, dice Giampiero Mughini per introdurre il primo protagonista della serata.
Una carriera ad alti livelli accesa dalla rivalità tra Fiorentina e Juventus. “Il mio sogno era andare in campo per divertirmi e divertire”, racconta il fantasista veneto.
I giornalisti Siria Magri, Bruno Longhi e Luigi Garlando, invece, si concentrano sui suoi screzi con gli allenatori. Un talento fuori dagli schemi che spesso poco si conciliava con le rigide direttive di chi guidava le squadre in cui ha giocato. Dalle grandi come Juventus, Inter, Milan e Fiorentina, alla provincia con le maglie del Bologna e del Brescia.
Tecnica limpida, sopraffina, accompagnata da un’umiltà rara nel calcio. La sua è stata una grande carriera, frenata solo dai tanti infortuni. “Il rigore sbagliato nella finale dei Mondiali contro il Brasile è il rammarico che mi accompagnerà sempre nella vita”, continua il campione. Conclude raccontando della sua vita attuale, fatta di cose molto semplici, di una quotidianità ordinaria.
Non concede interviste facilmente, non ha un profilo social, è lontano dai riflettori. Nella sua ultima dichiarazione pubblica ha detto solo che sogna un mondo di gente più educata e perbene.
La seconda storia della serata è quella di Alex Schwazer. Un predestinato della marcia, tra i più promettenti giovani sportivi italiani. Oro olimpico a Pechino 2008, a 24 anni, la storia con la pattinatrice Carolina Kostner, il percorso verso le Olimpiadi del 2012 da star della nostra squadra. Poi, la positività all’EPO e la lunga squalifica.
In una conferenza stampa rimasta nella memoria degli appassionati per le sue lacrime, ammise le proprie colpe a capo chino. Subito dopo, arrivò l’inevitabile abbandono degli sponsor e quello di Carolina Kostner, ma il marciatore riuscì a ricominciare da capo.
Gli allenamenti con Sandro Donati – tra i più apprezzati al mondo per la lotta al doping – lo rimettono atleticamente in sesto nel giro di poco e arriva a Rio 2016 in gran forma e con tante vittorie nelle gare preparatorie. Propio a Rio, però, la doccia fredda: la seconda positività e un’ulteriore squalifica di otto anni, che di fatto mette fine alla sua carriera.
Un verdetto che lui e il suo allenatore tuttora rigettano come un complotto. I due hanno raccolto prove che suffragano la loro versione e a settembre ci sarà il pronunciamento finale dei Giudici sulla vicenda.
Michael Schumacher aveva già scritto la storia della Formula 1 quando subì un incidente sulle piste da sci di Maribel, il 29 dicembre 2013. Mesi in coma, poi uno stato semi-vegetativo ne hanno minato per sempre il ritorno ad una vita normale, anche se nell’ultimo anno e mezzo le sue condizioni hanno fatto segnare qualche piccolo miglioramento.
Ronny Mengo e Giorgio Terruzzi lo hanno seguito per anni negli autodromi, come giornalisti. Ora, ne ricordano con malinconia le vittorie e le straordinarie capacità, ammettendo con amarezza che il grande campione tedesco non esiste più per come lo abbiamo conosciuto tutti. Un uomo schivo, instancabile lavoratore e un pilota maniacale nella ricerca della perfezione.
Ma capace anche di slanci affettuosi e affabili, quando era lontano dai riflettori. Tra i più grandi di tutti i tempi.
Quelli della Luna prosegue con il mito di Marco Van Basten. Il “Cigno di Utrecht” arrivò al Milan nel 1987, quando era già considerato un campione, eppure Silvio Berlusconi lo pagò relativamente poco per le cifre di mercato.
Fece la storia del Milan e del calcio, ma fu costretto a ritirarsi nel 1995, a 31 anni non ancora compiuti, dopo sette operazioni alla caviglia. Un cruccio, visto che fu lui a volersi operare a tutti i costi la prima volta, scelta considerata l’inizio della fine per la sua carriera.
Kobe Bryant e Thierry Henry ne hanno parlato in un’intervista come del loro idolo, dello sportivo che li ha più ispirati. Ispirazione che valeva per tanti. Non a caso, pallone d’oro olandese è considerato anche l’autore del “gol del secolo”.
Pietro Mennea è stato il più grande velocista italiano di tutti i tempi. Sulle piste di atletica è diventato indimenticabile non solo per i suoi record – alcuni dei quali ancora imbattuti – ma anche per la personalità.
Da Barletta (Bari) iniziò sfidando le auto di grossa cilindrata, mentre continuava a dedicarsi allo studio. Si è laureato quattro volte ed è stato anche Parlamentare.
“Quando corriamo, non siamo eroi, ma raccontiamo storie”, diceva l’indimenticato atleta pugliese. Lui che ha sopreso tutti per riuscire a correre veloce come solo gli atleti neri sembravano riuscire a fare.
A Quelli della Luna, adesso, è il momento di Zlatan Ibrahimovic. Il padre voleva da lui sempre la perfezione, gli chiedeva di fare il massimo per primeggiare e vincere il più possibile. Lo racconta Giampiero Mughini, che si sofferma sulle sue dichiarazioni sopra le righe e tutt’altro che modeste.
Altro talento indiscutibile, sempre in bilico tra genio e sregolatezza, che è riuscito a giocate nelle più grandi squadre europee. Lo hanno accolto sui loro campi Juventus, Ajax, Inter, Milan, PSG, Barcellona, Manchester United. Eppure, Ibrahimovic non è riuscito mai a vincere la Champions League. È questo l’unico neo di una carriera che ora lo vede come star strapagata del calcio nordamericano.
Lunatico, spocchioso, burbero, scontroso e ribelle, è riuscito ad imporsi con uno stile – non solo calcistico – unico. L’idolo dei propri tifosi, l’incubo di quelli avversari, ma in fin dei conti amato da tutti.
Quelli della Luna adesso corre in pista con Usain Bolt. Un nome che in inglese significa “fulmine” e che rimarrà per decenni quello dell’uomo più veloce al mondo, l’atleta più vincente alle Olimpiadi, la star più grande dell’atletica leggera.
Le sue potenzialità furono evidenti sin da piccolo, anche se voleva giocare a cricket. Già da adolescente volava sui 200 metri, ma in tanti pensavano che la sua altezza notevole lo avrebbe limitato nei 100 metri. Al contrario, il giamaicano è diventato il migliore di sempre. Da qualche anno ha abbandonato il suo sport, dopo aver vinto tutto. Però, nessuno si sente di escluderne un ritorno.
Zinedine Zidane è stato tra i più grandi campioni del calcio. Un fuoriclasse elegante, dalla tecnica immensa, timido dentro e fuori dal campo.
Si trasformò la sera della finale dei Mondiali di Germania del 2006, contro l’Italia. Rifilò una testata a Marco Materazzi sorprendendo tutti e chiudendo in maniera ingloriosa una carriera da incorniciare.
A Quelli della Luna provano a capire perché i giornalisti Pierluigi Pardo, Massimo Callegari e Mino Taveri. Oltre all’ex compagno di squadra alla Juventus, Gianluca Zambrotta.
Poteva essere una pagina in grado di offuscare quanto il francese aveva fatto da calciatore. Invece, la classe già dimostrata anche da allenatore, ha circoscritto l’ingloriosa testata ad una parentesi.
L’ex velocista paralimpico sudafricano Oscar Pistorius era riuscito a compiere veri e propri miracoli in pista. Con due protesi al posto delle gambe, è ruscito a correre a velocità paragonabili a quelle di atleti normodotati, con i quali fu addirittura ammesso a gareggiare nel 2008.
Ha vinto tutto ciò che poteva vincere nelle paralimpiadi e nelle gare di categoria, diventando anche un importante innovatore in fatto di protesi.
Ma, nel 2013, uccise la fidanzata Reeva Steenkamp. Quattro colpi di pistola, sparati nella casa di Pretoria in cui convivevano. Pistorius ha sempre detto di aver sparato perché convinto che in casa ci fosse un ladro, una versione mai ritenuta abbastanza credibile. L’ex-campione sudafricano ora è in carcere e sta scontando una pena che scadrà nel 2026.
Nel frattempo, sulla sua personalità sono state avanzate ipotesi disparate. Qualcuno ha parlato di un possibile disturbo bipolare evidente già prima del fatto, altri di difficoltà con l’alcol o della complessa gestione dell’immagine pubblica, dopo esser diventato star planetaria. Secondo alcuni, persino la scelta della fidanzata era un’imposizione di consulenti che ne gestivano l’immagine, in una vita tutt’altro che agevole da questo punto di vista.
Quello sull’atleta sudafricano è l’ultimo racconto della serata.
“Il mio auspicio è che troviate la vostra via alla luce della Luna“: Giampiero Mughini saluta il pubblico così, con una citazione di Oscar Wilde.
L’ultima puntata di Quelli della Luna finisce qui.
Appuntamento conclusivo che ha confermato i punti di forza e le tante perplessità sul programma. Pensato e realizzato con pacatezza ed eleganza nel linguaggio, oltre che con un buon ritmo e un andamento piacevole, ha mostrato la corda in alcuni tratti fondamentali.
A cominciare dall’originalità. Senza scomodare i racconti di Sfide o alcuni, sparuti tratti di quelli di Federico Buffa, Quelli della Luna paga la similarità nemmeno troppo velata con altre trasmissioni simili.
L’ultima in ordine di tempo è Rabona, di Andrea Vianello, su Rai3. Pur senza riscuotere grande successo, Rabona aveva comunque mostrato un taglio più interessante e peculiare, uno stile narrativo non rivoluzionario ma convincente.
Quello che è mancato alle quattro puntate di Mughini. Non c’è da puntare il dito su questa o quella caratteristica dello stile su cui si regge Quelli della Luna, ma c’è da registrare che mai o quasi il racconto è riuscito ad essere davvero accattivante.
Si poteva giocare la carta di una scelta meno scontata dei protagonisti, per quanto di primissimo piano? Forse sì. Come si poteva scegliere un linguaggio più favorevole alle dinamiche televisive, pur senza snaturare le particolarità di Mughini.
Oppure, si poteva puntare su materiali inediti e contenuti più interessanti. Invece, testi, interviste, video, commenti hanno aggiunto poco a quanto già ampiamente raccontato e visto su quei campioni. In alcuni casi, i filmati sono risultati addirittura poveri.
Quelli della Luna, dunque, chiude il primo ciclo di puntate senza debacle ma con più di un aspetto su cui è necessario lavorare.