Lo spot è previsto in due versioni – da 30 e 45 secondi – è in onda da circa dieci giorni e lo vedremo fino ai primi del 2019.
La scelta di fondo è stata di concentrarsi su una realtà familiare diffusa: quella degli emigrati.
La pubblicità è esplicitamente dedicata ai giovani costretti a muoversi dal sud al nord Italia per lavorare. Anche considerando solo le emigrazioni interne al nostro paese, i numeri dicono che, dal 2001 ad oggi, quasi 2 milioni di persone si sono spostate dal Mezzogiorno per via di un impiego.
Dagli uffici marketing Conad e da Gabriele Salvatores è venuta l’idea di un ragazzo appartente ad una famiglia del ceto medio italiano – ci sarebbe da discutere se questa famiglia sia ancora il modello più diffuso, ma è senz’altro rappresentativa di una parte di tessuto sociale centrale nella nostra storia recente – che riceve una telefonata da un’azienda, a ridosso del Natale, e deve partire all’improvviso.
La sequenza inizia proprio così: il ragazzo è impegnato nella lettura di un quotidiano (forse spulcia gli annunci di lavoro?) seduto di fianco al telefono, con il presepe in bella vista. Squilla il telefono e si precipita a rispondere, come se quella telefonata fosse la cosa più importante della propria vita.
Dall’altro capo del filo, c’è evidentemente il responsabile di un’azienda con sede nel nord Italia a comunicargli che è stato assunto. Il giovane risponde sicuro, entusiasta: è disposto ad iniziare subito. Una volta riagganciato, comunica alla famiglia, elettrizzato, la notizia della partenza prevista per l’indomani.
Mentre sua sorella, di poco più piccola, lo abbraccia affettuosamente sorridendo, sul volto dei genitori si legge un evidente contrasto. Esprimono la malinconia del distacco, i pensieri sorpresi di fronte all’improvvisa rottura del cordone immaginario che ancora li legava al figlio. Tuttavia, non possono essere del tutto tristi.
La madre accenna un timido “Ma è Natale“, con un tono che però palesa consapevolezza della velleità di quel tentativo. Il figlio risponde laconico: “Mamma, devo”.
Segue il rito di preparazione dei bagagli, al termine del quale la mamma prova ad inserire in valigia alcuni prodotti tipici, tra cui il caciocavallo.
Quando il figlio la rimprovera per quella premura eccessiva, oltretutto deleteria per l’odore della biancheria, la donna sbotta in un “Ma che Natale è?!”, senza ottenere risposta. Nel frattempo, arriva il papà e dà al ragazzo una carta prepagata Conad. Come a dire che grazie a Conad i prodotti tipici e genuini si trovano ovunque, non è più necessario partire zavorrati dal peso del cibo: “Ti compri le nostre cose e pensi a noi”.
Lo spot si chiude con il giovane che esce di casa voltandosi un’ultima volta verso i genitori pensierosi. Una voce fuori campo certifica gli intenti del marchio: “A tutti i nostri ragazzi che vanno lontano, Conad augura buon Natale”.
La frase simula empatia verso i ragazzi, ma anche verso i genitori. Tende a traquillizzarli facendo passare il messaggio che anche Conad li vede come i propri ragazzi e si impegna per farli stare bene.
Tutto ciò avviene in una casa di Vieste (Foggia) in stile classico e vagamente signorile, addobbata per natale, con il presepe e un sottofondo musicale suonato dalle zampogne.
Questo spot è stato molto commentato ed ha attirato non poche critiche. L’accusa principale rivolta agli autori è quella di aver proposto una visione del sud Italia arcaica e grottesca, lontana da ciò che accade realmente.
Inoltre, rischia di sdoganare quello che viene definito, con espressione drammatizzante, lo “sradicamento dei giovani ad opera del sistema economico attuale”.
Entrambe le critiche hanno una loro ragion d’essere, ma anche in questo caso i distinguo sono fondamentali.
È senz’altro vero che lo spot propone una rappresentazione stereotipata ed esasperata del nostro meridione. Tuttavia, le pubblicità hanno bisogno di far leva su elementi familiari al pubblico e nel poco tempo a disposizione devono cercare di rimarcarli il più possibile per andare a segno.
Il legame mamma/figlio o le premure della donna, ad esempio, sono chiaramente esagerati, ma comunque hanno fatto a lungo parte di una certa ritualità in occasioni come quella descritta nello spot.
Se non altro, nell’immaginario collettivo. Non a caso, negli ultimi anni sono tanti i prodotti culturali centrati su elementi simili: dal film “Benvenuti al sud” a tutto il filone di video realizzati da Casa Surace su Youtube, per citarne un paio. Hanno rimasticato tutti lo stesso stereotipo, suscitando simpatia, più che critiche indignate.
Rappresentazioni di questo tipo hanno stancato? Sì. Il centro-sud Italia, con tutte le sue difficoltà, è molto più di quanto traspare da quast’immagine macchiettistica e superficiale? Decisamente sì.
Però stiamo parlando di uno spot nel quale tutto, per quel che conta, è presentato con affettuosa simpatia.
Qualcosa di simile vale per la questione dello sradicamento. È un tratto distintivo del nostro mercato del lavoro, problematico e segnante nella misura in cui diviene spesso un obbligo, più che una scelta, e grava anche su persone che per sensibilità e formazione faticano ad adeguarsi.
Ma pensare che uno spot Conad possa sancire lo sdoganamento di certe dinamiche è probabilmente pretenzioso. Semmai, sempre per le necessità di immediatezza di cui abbiamo già detto, lo spot fotografa la situazione. E in questo sì, rischia di accettare indirettamente una rappresentazione del fenomeno che troppo spesso dimentica i lati negativi, per l’individuo, di certi meccanismi.
Non è una giustificazione, ma è bene precisarlo per contestualizzare lo spot e capire che certi cambiamenti possono avvenire solo a livelli differenti. Inoltre, cambiando il punto di vista, quella di Conad potrebbe essere letta come una denuncia del problema.
Per il protagonista della pubblicità – ma anche per sua sorella, ancora più giovane – la chiamata a pochi giorni dal Natale e la necessità di partire immediatamente appaiono del tutto normali. Oltretutto, non dimostrano tentennamenti, consapevoli della mancanza di alternative. I genitori, al contrario, lo trovano inconcepibile.
Forse – sempre tenendo bene a mente i lati negativi di quelle partenze – la si può vedere in maniera positiva. Si tratta della rottura, stavolta, di uno stereotipo, quello secondo cui i giovani – specialmente del sud – non lavorano perché non vogliono lavorare, non sono disposti a fare sacrifici. Ricordarsene.