Determinazione, identità, passione, forza (mentale prima ancora che fisica), ambizioni, riscatto hanno modellato l’epica di uno sport in grado di calamitare su di sé la spinta emotiva dei tifosi.
Complice una certa tendenza machista, questi tasselli sono stati uniti negli anni a dipingere la facciata del gioco a tinte maschiliste.
Come fa una donna ad imporre la propria forza al pari di un uomo? Come può essere espressione credibile di determinazione e passione calcistica? È all’altezza quando si parla di tattica?
Domande di questo tipo per decenni hanno provato a spegnere sul nascere le discussioni sul calcio femminile. Fasi storiche in cui si diceva ‘naturale’ che allo stadio andasse l’uomo, che le partite di calcio non interessassero le donne nemmeno davanti alla tv, perché del resto non erano in grado di capirlo. Figuriamoci di giocarlo.
Le risposte, però, pian piano ha iniziato a darle la realtà dei fatti. Il 7 giugno scorso è iniziato in Francia il Mondiale di Calcio Femminile 2019, l’ottava edizione di un trofeo che quest’anno è riuscito ad imporsi all’attenzione più che in ogni altra occasione.
Un racconto esteso di una parte non trascurabile dei media, l’attenzione crescente degli sponsor e dell’opinione pubblica, oltre agli ottimi risultati negli ascolti televisivi hanno restituito un’immagine del calcio femminile diversa da quella a cui eravamo abituati.
In Italia, sia Sky (con 37 dirette su 52 incontri) che Rai (ma con sole 15 partite) stanno trasmettendo l’evento. Le risorse messe in campo non sono sovrapponibili a quelle dedicate al corrispettivo evento maschile, eppure sono in evidente crescita rispetto al passato.
Le pubblicità create dalle televisioni per promuovere la loro copertura sono due facce di una stessa certezza: il calcio femminile è animato da elementi in tutto paragonabili a quello maschile.
La pay tv ha scelto di focalizzarsi sulla grinta, l’energia, la determinazione, l’ambizione e lo spirito si squadra con cui le ragazze della nazionale italiana sono andata a giocarsela negli stadi d’oltralpe.
Lo spot si apre con immagini dallo spogliatoio e dai campi di allenamento. Scene si fatica e impegno, in cui i volti delle calciatrici trasmettono tutta la tensione e lo sforzo fisico con cui vivono la vigilia della competizione, mentre “Boogie feet” di Kesha contribuisce a caricare il video di pathos ed energia. Poi, le giocatrici compaiono una ad una davanti alla telecamera per un flash sulla propria visone del calcio.
La capitana Sara Gama: “Il calcio non è uno sport per chi teme le sfide”. Dopo di lei, l’attaccante Barbara Bonansea ricorda che “Non è uno sport per chi non sogna in grande”, ma è di nuovo la voce della capitana – stavolta fuori campo – a dare il messaggio più importante. Ovvero: “Il calcio è il calcio”, con il sottinteso che lo sport è identico, che a praticarlo siano gli uomini o le donne.
Simile la promo realizzata dalla Rai, che ha provato a concentrarsi sulle motivazioni personali delle calciatrici per rimarcare lo stesso concetto. La prima scena è girata nel tunnel che dagli spogliatoi porta al campo da gioco, momento in cui risalta la tensione del pre-partita.
Le calciatrici entrano in campo e tra un calcio al pallone, un palleggio e uno stretching la loro voce racconta la nascita della propria passione calcistica.
Elena Linari – difenditrice della Nazionale italiana e dell’Atletico Madrid – dice che giocare un mondiale è il sogno di ogni bambina da quando inizia a giocare. Barbara Bonansea, Sara Gama e la portiera Laura Giuilani, dal canto loro, parlano della passione per il calcio come di una propensione innata, non hanno potuto far altro che assecondarla.
Delle parole colpisce la similitudine totale con il racconto di sé fatto dai calciatori, a dimostrazione di quanto siano fallaci le convinzioni di chi sostiene che ’per natura’ donne e calcio siano due cose inconciliabili.
Lo spot si chiude con l’intervento dell’allenatrice della Nazionale italiana femminile di calcio, Milena Bertolini: “Sarà un mondiale bellissimo, uno spettacolo”.
Il calcio femminile è arrivato alla competizione in terra francese dopo anni di impegno per emergere e reclamare lo spazio che gli è dovuto. Negli ultimi anni c’è stata una crescita decisa delle squadre di club femminili – ciascuna (o quasi) delle grandi squadre europee, prima solo maschili, ne ha una – con aumento degli investimenti e crescita anche dal punto di vista tecnico. Gli spettatori negli stadi, durante il campionato, sono in costante aumento.
Resta da fare tanto ancora per quel che riguarda l’equiparazione degli ingaggi femminili a quelli maschili, così come è solo iniziato lo sforzo per garantire una copertura giornalistica opportuna.
Nelle telecronache ancora si percepiscono difficoltà e imprecisioni nel racconto di quanto succede in campo, sia nelle declinazioni di genere sia nell’adeguata descrizione di un movimento che ha comunque le sue peculiarità.
D’altronde, il dibattito quotidiano dimostra quanto ancora ci sia bisogno di lavorare. Solo pochi mesi fa, l’ex-calciatore Fulvio Collovati è stato sospeso dalla trasmissione Quelli che… il calcio per aver detto che inorridisce quando sente una donna parlare di tattica calcistica. Poco tempo dopo, è stato un giornalista di SportItalia a lasciarsi sfuggire una considerazione secondo la quale quello femminile non è calcio.
In ogni caso, gli spot tv di Sky e Rai, insieme quanto visto finora sui campi da gioco, ci dicono che sì, il calcio femminile è in grado di regalarci tanto quello maschile.