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La vita della Strepponi (Lodi 1815 – Sant’Agata di Villanova 1897) non fu facile, comunque, e di dolori ne ebbe forse più delle indubbie gioie. Non era dotata di bellezza fisica particolare, le sue doti erano soprattutto canore – una voce preziosa da belcantista sin dalla prima ora, visto il Premio di Belcanto avuto nel Conservatorio di Milano a 19 anni – ma anche sceniche, poiché dominava bene il palcoscenico e possedeva teatralità.
Sicchè Giuseppina Strepponi, dopo un successo al Teatro Grande di Trieste con “Matilde di Shabran” di Rossini, si impose senza difficoltà in Italia (ma anche a Vienna nel 1835, come Adalgisa nella “Norma” di Bellini. e Amina nella sua “Sonnambula”).
Cantò negli anni trenta davvero ovunque, debuttando alla Scala nel 1839, nel ruolo di Leonora nella ‘prima’ di “Oberto” di Verdi: e questo fu l’inizio, ma solo della conoscenza col Maestro, suo coetaneo. Intanto Giuseppina aveva vissuto altri amori, che non gestì bene. Ma per fortuna non c’erano i paparazzi che sicuramente non le avrebbero dato tregua.
Dal tenore Napoleone Moriani nel 1836 aveva avuto due figli che rimasero fuori dal matrimonio: dal secondo compagno – l’impresario del Teatro alla Scala Bartolomeo Merelli – ne ebbe un terzo, che morì ancora bambino. Ben presto ella rimase sola con i tre figli e la vecchia madre a suo carico.
Tempi diversi: allora, in pieno Ottocento, c’era poco da rivendicare con le maternità illegittime. Non c’era una TV provvidenziale che, come per Pavarotti, soffiava sul fuoco della relazione con la giovanissima Mantovani: allora, la Chiesa, la morale e il popolino non perdonavano facilmente.
Giuseppe Verdi
La Strepponi per mantenere i figli accettò moltissimi impegni come soprano, ahimè rovinandosi la voce. Dopo il successo nel ruolo di Abigaille alla ‘prima’ scaligera del “Nabucco” verdiano nel 1942 – il rapporto fra il compositore e la cantante, anche valente e pragmatica consigliera, cominciava a profilarsi – e il successo come protagonista della “Norma” di Bellini al Comunale di Bologna nel 1843, Giuseppina cominciò ad avere difficoltà vocali. A Palermo nel 1845 fu addirittura fischiata e nel ’46 – dopo aver affrontato da ultimo solo ruoli verdiani in “Ernani” e ne “I due Foscari” – lasciò le scene.
Verdi usciva appena da un periodo tristissimo, per cui aveva rinunciato a comporre, in seguito alla morte nel 1840 della prima giovane moglie Margherita Barezzi – figlia del direttore dell’Orchestra Filarmonica di Busseto (dove Verdi era nato nella frazione Le Roncole),
Antonio Barezzi, l’uomo della prima ora, che aiutò l’artista nei primi passi come compositore. La morte per encefalite di Margherita ventiseienne seguiva poi quella dei due loro bambini, entrambi morti a un anno di vita: Verdi, che aveva già scritto due opere, rimase improvvisamente solo, con questa tragedia alle spalle.
Un primo piano della moglie di Verdi
Il provvidenziale successo del “Nabucco” (1842) alla Scala, l’opera-capolavoro diventata il simbolo del melodramma in Italia e che risollevò Verdi, era il frutto dell’intuito dell’impresario del Teatro scaligero Merelli, allora amante della Strepponi, che lo aiutò passandogli sottomano un libretto d’opera con la storia del re babilonese Nabuccodonosor, che per fortuna Verdi lesse. Il desiderio di scrivere musica pian piano in lui si ridestò: e ne nacque “Nabucco”, l’inizio per Verdi della grande carriera. Nel frattempo la Strepponi si era stabilita a Parigi e si era data all’insegnamento: Verdi nel 1847 la raggiunse. E fu per sempre.
Nell’indimenticato sceneggiato televisivo di Castellani del 1981 dedicato a Giuseppe Verdi, con l’étoile mondiale Carla Fracci nel ruolo della Strepponi, questo momento è stato impersonato dalla grande ballerina con un’emozione, una commozione, un tremito tale, che la Fracci – rivedendolo dopo molti anni – non ha potuto trattenere le lacrime. Perché è un’artista autentica.
Verdi e la Strepponi, dopo una convivenza di dieci anni, si sposarono in un piccolo centro dell’Alta Savoia il 20 agosto 1859 (lontano da Busseto e dall’Italia, per via delle malelingue), ma non vissero nella bella Villa di Busseto comprata dal compositore – da tempo la Strepponi era malvista dalla gente del luogo, e la gente non cambiava – per cui si trasferirono a Sant’Agata frazione di Villanova presso Piacenza, tra vigneti e frutteti cari a Verdi.
Cinqunt’anni insieme: ma non tutti sereni. Per “La Forza del Destino” e per “Aida”, Verdi ormai sessantenne volle il soprano boemo Teresa Stolz: Giuseppina ne soffrì intuendo un rapporto amoroso fra i due, che non è suffragato da documenti, ma che la fece soffrire non poco. Ella premorì al marito nel 1897. Entrambi ormai riposano, dal 1901 dopo la morte di Verdi, nell’Oratorio della Casa di Riposo per Musicisti di Milano, dove furono subito traslati, presente Arturo Toscanini che intonò il ‘Va’ pensiero sull’ali dorate’, dal “Nabucco”, che l’intero mondo conosce ed ama.
E questa è la storia di colei che, nel bene e nel male, condivise tutta l’esistenza con l’artista-simbolo della Grande Musica in Italia.
Qui Vittoria Colonna. E qui Giacomo Puccini.