Soprattutto ha svelato in quale modo è riuscito a restare una persona semplice scampando al pericolo di montarsi la testa e finire in un circolo pericoloso fatto di autosuggestioni e di superbia.Sarebbe stato possibile dopo essere stato scelto da Netflix.
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L’interprete delle due serie tv di Marco Polo, ospite del Giffoni Film Festival, ha detto: “Ho viaggiato tantissimo, anche prima di Marco Polo, tanto che, quando ho fatto il provino per la parte, ho detto che ero già stato in tutti i posti in cui era stato Marco Polo. Io amo viaggiare, il viaggio ti apre la mente, soprattutto quando viaggi da solo, scopri te stesso e ti metti in discussione. Aldilà dei social, dobbiamo imparare a stare da soli per capire dove andiamo”, ha spiegato Richelmy. “A Netflix cercavano da anni un attore per Marco Polo, in tutto il mondo -racconta il 26enne- La casting italiana non pensava fossi adatto così ho deciso di fare da solo il provino in casa, aiutato da un mio amico regista e dalla mia fidanzata di allora. L’ho inviato direttamente alla casting inglese. Per due mesi non ho saputo nulla poi mi hanno telefonato e mi hanno detto che il giorno dopo sarei dovuto andare in Malesia per fare un’audizione. Avevo il problema della lingua perchè non sapevo bene l’inglese, anzi lo sapevo abbastanza male. Mi hanno detto che mi avrebbero messo a disposizione su skype una coach e se fossi migliorato in due settimane mi avrebbero preso. E così è stato”.
Ma poi sono arrivati i problemi. “Sono entrato in un sistema più grande -ammette Richelmy- per molti versi una follia perchè mi sono trovato all’improvviso ad avere a che fare con Netflix e Weinstein, due tra i nomi più grandi dello spettacolo mondiale. E’ difficile non perdere l’equilibrio, mi ha aiutato la capacità di conoscere me stesso e dimostrare le mie idee e la mia personalità. In uno dei primi incontri che abbiamo fatto, mi hanno detto che avrei subito dovuto smettere di fumare e di bere coca cola, gli ho risposto che se lo avessi fatto così velocemente sarebbe stato peggio e hanno capito le mie ragioni. Il problema è che vieni investito da un ciclone enorme in un tempo brevissimo. Mi ha aiutato molto Pierfrancesco Favino, che nella serie interpreta mio padre, lui aveva già avuto molte esperienze sui set internazionali. Dentro di me ho trovato risorse che non credevo di avere”.
Il segreto per non soccombere all’improvviso successo è “autoironia, fiducia in se stessi. Mi sono ripetuto concetti di buon senso. E vedevo che giganti come De Niro o Pacino a tavola si comportano come tutti noi, chiedendo, ad esempio, ‘mi passi l’olio’ come fa chiunque”.
L’invidia dei colleghi? “Ho studiato al Centro Sperimentale e ho capito che gli invidiosi in questo lavoro non vanno molto avanti. Non c’è quello più bravo e quello meno bravo, piuttosto ci sono lavori per cui uno è più adatto di un altro. Poi se te ne vai in giro come un divo, pensano che sei uno scemo e hanno ragione. Piuttosto che essere invidiosi è più utile provare a capire come ha fatto quel collega a realizzare un certo percorso. E mi ha aiutato sicuramente anche il fatto che quando ho girato Marco Polo non c’era stato il successo che hanno avuto altre serie, penso a Gomorra, per esempio”.
Quanto a Netflix, Richelmy è convinto che sia il futuro, “si è accreditata per la sua libertà produttiva, nessun altro avrebbe potuto fare un prodotto come House of cards se non Netflix”.
Sulla terza serie di Marco Polo, l’attore non si sbilancia: “Non ho notizie ma le prime due sono andate benissimo, dopo “il Trono di spade” e “Orange is the new black” è quella che ha avuto maggiore successo”