La seconda parte dell’incontro invece, è stata affidata a Enzo Carra, giornalista, autore televisivo e a lungo membro della Commissione di Vigilanza Rai.
Titolo della lezione: la televisione ai tempi della complessità.
Una riflessione sulla televisione però non può fare a meno di una premessa sulla comunicazione, visto che, secondo Morcellini, questa è una «merce ad alto tasso di produttività»: data la grande quantità di messaggi e programmi infatti, non ci si può esimere da un’analisi critica sulla materia.
Il primo fattore a cui prestare attenzione è l’eccesso di fiducia nella modernità: la comunicazione si presenta come «forma di stimolazione della conoscenza», una risorsa in più per leggere il mondo. Per questo motivo viene spesso confusa con l’esaltazione della modernità, col rischio di porre al centro della discussione la tecnologia.
La tecnocrazia che ne deriva quindi, rischia di portare la società verso l’individualismo, chiudendoci gli occhi sulle diversità. Non a caso, prosegue Morcellini, la comunicazione si presenta come un «vento che tende ad attaccare tutte le differenze»: sembra incrementare lo scambio tra uomini, ma in realtà, nonostante i progressi tecnologici che la attraversano, nelle società si verificano crisi della scuola, del giornalismo e della politica.
Di conseguenza, qualsiasi professionista lavori in tale ambito, deve prendere atto che la comunicazione si presenta come il «ritmo fondamentale del cambiamento»; noi però, al contrario, tendiamo a vedere solo il cambiamento della comunicazione, non quello del pubblico. Bisognerebbe piuttosto guardare all’impatto sulle persone che la fruiscono, così che possano smettere di subirla ma diventarne protagonisti.
E per quanto riguarda la tv e il servizio pubblico? Enzo Carra ha prima ripercorso la storia della Rai a 60 anni dall’inizio della programmazione televisiva, soffermandosi in particolare sulla valenza della tv pubblica per l’unificazione linguistica degli italiani; in seguito ha approfondito l’argomento, illustrando i nodi critici del nostro servizio pubblico.
Innanzitutto l’ibridazione con le reti commerciali: nei canali Rai infatti, si può trovare informazione e cultura, ma anche i programmi d’intrattenimento. Da questa contraddizione inoltre, ne nasce un’altra: se la Rai trasmette intrattenimento, che ruolo possono avere i partiti a riguardo? Nessuno.
Il riferimento è alla Commissione parlamentare di vigilanza che, eleggendo il consiglio d’amministrazione, di fatto va a controllare politicamente le trasmissioni.
Cosa devono fare allora i giornalisti del Libyan National Channel per costruire un servizio pubblico degno di essere considerato tale? L’esperienza italiana può servire come esempio, anche in negativo.
Innanzitutto, concettualmente, è necessario capire bene che tipo di prodotti deve realizzare una tv pubblica: quali rientrano in questa definizione e quali no.
Poi occorre confrontarsi a livello internazionale, non tanto per osservare le trasmissioni degli altri Paesi, quanto per comprendere come fanno il loro servizio pubblico.
Un altro aspetto da non trascurare sono le nuove tecnologie. Visto che la rete libica raccoglie la sfida proprio ora, dovrà integrare sin da subito vecchi e nuovi media; ormai, sostiene Carra, sono la stessa cosa, per cui avremo sempre più tv via internet e via cavo.
A chi in conclusione gli chiede come si può cambiare la tv dopo l’era di Gheddafi, risponde che c’è bisogno della politica: occorrono leggi che sanciscano che un uomo da solo non può decidere cosa debbano guardare i cittadini.
E’ necessario fissare degli equilibri nei palinsesti, così come è altrettanto fondamentale un controllo affinché questi equilibri vengano rispettati.
Nei prossimi giorni, i giornalisti libici parteciperanno ad altri incontri con studiosi di comunicazione; visiteranno inoltre gli studi della Rai, sia televisivi che radiofonici.
L’iniziativa nasce con la collaborazione del Copeam (Conferenza Permanente dell’Audiovisivo Mediterraneo) , del Coris (Dipartimento di Comunicazione e Ricerca dell’università La Sapienza), della Rai e del Ministero degli Affari Esteri