Poco importa la recitazione improponibile, adatta più ad un pubblico “cinofilo” che cinefilo, e il messaggio distorto che spesso veicolano (personaggi discutibili come mafiosi o camorristi diventano una sorta di idoli dei ragazzini come dimostrano i link e le foto circolanti su Facebook durante la messa in onda ): l’importante è accalappiare pubblico. Tendenzialmente fino a qualche anno fa esisteva un sottile divario tra le fiction Rai e quelle Mediaset, con la Tv pubblica che riusciva a sfornare prodotti migliori delle baracconate del Biscione. Oggi non è più così. Entrambe le reti si sono fossilizzate su standard qualitativi davvero bassi. Come non condividere le parole di Virzì che tempo fa le bollava duramente: “Non guardo più le fiction della nostra tv generalista: le trovo girate e scritte malissimo, credo siano le peggiori del mondo. E’ camomilla per anziani”. C’è quindi solo l’imbarazzo della scelta nello stilare una sorta di “peggio del peggio” o di “massimo del minimo” delle fiction italiane del 2013. Ecco la nostra classifica.
Donne in gioco. Non era meglio che Michelle Bonev evitasse di mettersi a giocare con la macchina da presa, scrivendo, producendo e interpretando questa pessima fiction? Il tema delicatissimo della ludopatia dalla visuale femminile della poliziotta Olivia, interpretata dalla stessa Bonev, è messo al servizio di un poliziesco all’italiana che definire scontato sarebbe quasi un complimento. Una trama prevedibile ed una recitazione imbarazzante per la fiction andata in onda nel mese di marzo, giustamente affossata dalle critiche e dal pubblico che non l’ha seguita. All’insuccesso ha certamente contribuito la protagonista, molto chiacchierata già dal 2010 quando ricevette dall’allora ministro dei Beni Culturali Sandro Bondi un premio speciale all’interno della Mostra del Cinema di Venezia per il film Goodbye mama da lei prodotto e diretto. Il fatto scatenò un mare di polemiche. Ulteriori polemiche arrivarono per alcune rivelazioni shock sulle sue presunte frequentazioni con Silvio Berlusconi e l’attuale fidanzata Francesca Pascale e per l’intervista esclusiva di Santoro a Servizio Pubblico. Così si è guadagnata le luci della ribalta (negativa s’intende). Meraviglia, infine, che un attore come Lando Buzzanca, abbia accettato un ruolo in un simile discutibile prodotto.
Paura di amare 2. La seconda stagione di questa fiction di Raiuno viene mandata in onda dopo ben tre anni dalla prima che registrò, nel 2010, ascolti lusinghieri raggiungendo i sette milioni di telespettatori. Quest’annata è stata meno fortunata per i protagonisti Asia (Erica Bianchi), Stefano (Giorgio Lupano) e la perfida Elide (Ida Di Benedetto che ne è pure la produttrice). Ma nel disastroso panorama televisivo odierno i suoi tre-quattro milioni di telespettatori sono stati oro colato per RaiUno. Una fiction al sapor di naftalina, antica. Guardandola tornavano subito in mente vecchi sceneggiati Rai quali “Vento di Ponente” e l’infinita serie di Incantesimo.
Le tre rose di Eva 2. Si è appena conclusa la seconda serie della fiction con Anna Safroncik e Roberto Farnesi incentrata sugli intrighi della tenuta Pietrarossa che ha appassionato molti telespettatori. Non certo quelli a cui non basta un pallido tentativo di noir italico (non è sufficiente buttare il telespettatore in una vicenda intricata che non si scioglierà se non alla fine). Non quelli a cui non è sfuggito che questa serie è stata una sorta di collocamento di reduci e transfughi di Vivere e Centovetrine che hanno portato con loro la recitazione sospirata, sussurrata e melensa delle soap opera.
Rex. Andata in onda nella primavera scorsa, la quinta serie italiana delle avventure del pastore tedesco Rex, ha abbandonato Kaspar Kapparoni, per lasciar posto al commissario Davide Rivera, al secolo Ettore Bassi (che a sua volta nella sesta passerà il testimone a Francesco Arca). Unico punto fermo, dunque, il bellissimo esemplare a quattro zampe, la cui recitazione risulta molto più dignitosa di tanti suoi colleghi bipedi. Dopo un inizio piuttosto tiepido,ha ingranato dal punto di vista degli ascolti, ma il genere poliziesco in Italia mostra da sempre i suoi limiti, pur cercando, la regia di Costantini, di affrancarsi dall’originario modello tedesco. Lo stesso Bassi ha spiegato così i motivi del suo abbandono: “Ho lasciato il commissario Rex con grande dispiacere, perché è finito in trappola, in un meccanismo perverso che non riesco a spiegarmi, e che non condivido. Io ho sempre creduto nell’impostazione registica di Andrea Costantini, in un Rex dove c’è molta azione e, al tempo stesso, dove il commissario mantiene caratteristiche di personaggio a tutto tondo, dove uomo e cane interagiscono senza trasformare nessuno dei due nella semplice spalla dell’altro. Il favore del pubblico giovane, anche su Facebook, ci ha dato ragione ma certi produttori hanno preferito invece tornare a un’impostazione più tradizionale che non è nelle mie corde. Non mi restava che andarmene”. A ciò si aggiunge l’oggettiva difficoltà del pubblico ad affezionarsi al commissario “umano” puntualmente sostituito dopo qualche serie.
Pupetta – Il coraggio e la passione. Più che altro il coraggio, barbaro, di mandarla in onda. Senza dubbio si aggiudica un ipotetico premio della peggiore fiction del 2013, o forse di sempre. La fiction, andata in onda agli inizi di giugno, purtroppo con ottimi ascolti, prende spunto dalla vicenda personale di Pupetta Maresca, giovane donna napoletana che nel 1955, incinta, si fa giustizia uccidendo il presunto mandante dell’omicidio del marito. Protagonista Manuela Arcuri. Cosa aggiungere se non che lei e la recitazione sembrano sempre più essere due rette parallele (si, proprio quelle che non si incontrano mai)? Se la Arcuri in altre fiction è sembrata dilettantistica, in Pupetta si è magistralmente superata. Interpretazioni imbarazzanti da recita di oratorio parrocchiale, attori poco credibili (“l’usignolo di Napoli” Eva Grimaldi; la compagna di vita e di cella “Maddalena” interpretata da Alessandra Barzaghi; lo stesso “Michele”,l’attore Massimiliano Morra. Ancora: il fratello, nella fiction come nella vita, Sergio Arcuri, l’ambientazione negli anni cinquanta fasulla ed approssimativa, il dialetto napoletano del tutto stravolto e storpiato. Insomma davvero nulla da salvare. Nemmeno professionisti come Stefano Dionisi, Barbara De Rossi e il grande Luigi De Filippo sono riusciti ad risollevare dal baratro del trash questo “fotoromanzo” popolare di qualità assolutamente scadente e che, da drammatico quale voleva essere, si è rivelato piuttosto un circo del comico/grottesco.