Un ossimoro latente che crea confusione, perché a nessun sentimento di affetto dovrebbe poter essere mai accostato il termine “criminale”.
Eliminata dunque la possibilità che si possa in alcun modo parlare d’amore, restano i soli crimini. Eppure nella passata stagione l’ambiente poetico dello studio, una certa delicatezza nei modi, nel linguaggio e nell’espressività della conduttrice e l’ampio spazio riservato ai contributi di attori professionisti e di consulenti esperti nel campo della violenza sulle donne, consentivano al pubblico di elaborare valide riflessioni sul tema. Quest’anno invece il tempo della trasmissione è per la maggior parte assorbito dalle ricostruzioni filmate e dai documenti relativi a ciascuna storia. In questo modo il racconto di ogni triste vicenda finisce col somigliare più ad un thriller criminale di bassa qualità che ad un resoconto documentaristico con finalità formative.
Sebbene lo studio sia rimasto lo stesso appare ora più cupo e l’intero contesto ha subito una notevole drammatizzazione rispetto alla passata stagione.
Lo stile della conduttrice, Barbara De Rossi, non esprime la medesima tenerezza, nei confronti delle vittime di violenze, della precedente edizione. È vero che il contributo di attori di talento come Corrado Fortuna e di esperti legali non è mancato nemmeno in queste ultime puntate. Ma la trasmissione è appesantita da un eccessivo indugiare sul doloroso contrasto tra una desiderabile presunta normalità e il preannunciarsi di un’agghiacciante tragedia. Le ricostruzioni sfiorano il patetico e il linguaggio, tanto delle immagini quanto del narratore esterno, è retorico, stereotipato e didascalico tanto da far assaporare allo spettatore in alcuni passaggi la noia più pura.
Amore criminale è una trasmissione che nasce con l’obiettivo di informare dei rischi e dei pericoli derivanti da relazioni malsane, al limite del patologico e allertare, soprattutto il pubblico femminile, rispetto a comportamenti contraddittori di partner che danno segnali devianti.
Eppure in questa edizione, per offrire un vero servizio di pubblica utilità, al programma manca quel necessario distacco dalla tragedia, dal morboso e dalla curiosità poco sana che la violenza efferata suscita; un distacco che già gli antichi Greci avevano e consentiva loro di raccontare anche crimini efferati senza mostrarli, riuscendo ugualmente a muovere l’animo del pubblico verso una positiva catarsi.
L’obiettivo dunque pare, più che altro, commuovere il pubblico in modo piuttosto sterile.