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Lo conduce Asa Akira, pornostar di origine asiatica tra le più famose al mondo; in palio ben un milione di dollari. Come in ogni talent, i concorrenti si esibiranno davanti a una giuria che ne commenterà le prestazioni: otto ragazzi e otto ragazze si contenderanno l’ambito montepremi davanti a quattro star dell’hard, cioè Tori Black, Remy LaCroix, Lexi Bell e Kieran Lee.
Le sorti degli aspiranti divi del porno sono nelle loro mani, dato che ognuno di loro dovrà istruire una coppia di concorrenti. Dieci in totale le puntate, trasmesse dal sito Xhamster.com.
Non di sola carne vive però l’uomo.
Ed ecco che dal mese scorso in Spagna è lo spirito ad essere di scena, letteralmente. Nella penisola iberica è stato infatti ideato Quiero ser monja, che tradotto suona come “Voglio diventare suora”. Al centro del format, un docureality, cinque ragazze che abbandonano la quotidianità per seguire la propria vocazione in un convento di Madrid. Assistite dalle missionarie del santissimo Sacramento, le protagoniste fanno vita monastica per testare la propria fede religiosa. Al di là di tutte le possibili riflessioni sulla deriva del genere reality, sarà interessante vedere quale futuro attende le dirette interessate una volta spente le telecamere di Cuatro, canale Mediaset spagnolo. Torneranno alla loro vita precedente o finiranno al Brancaccio, protagoniste dell’ennesima versione di Sister act?
Del resto, in tv c’è già chi si sposa senza conoscersi, per cui le wannabe della fede erano solo l’ultimo esperimento da aggiungere alla lista: per chi aspira a farne parte, il mezzo non è un messaggio, ma è fine a se stesso. Vale tutto, pur di rosicchiare un briciolo di notorietà.
Degenerazioni del reality? Certamente, e pure il cinema se ne è occupato con diversi titoli come il The Truman Show, l’estremo Live o l’italiano Reality. Ma perché il porno diventa talent? E soprattutto: perché la Chiesa si presta a simili operazioni?
La risposta è unica: entrambi sono in crisi. Per la Chiesa diminuiscono suore e sacerdoti e aumentano gli sbattezzi, per il porno, invece, il web ha assestato un colpo mortale alla sua industria. Mentre però di fedeli ce ne sono di meno, di porno ce n’è invece di più: solo che il genere non rende economicamente come prima, perché la rete ha reso fruibili a tutti contenuti che, invece, prima andavano necessariamente acquistati.
In definitiva: sono scesi gli indotti, e un programma ad hoc può essere una nuova forma con cui camuffare la crisi attuale e, nel frattempo, attirare l’attenzione. In un certo senso, più che il sintomo, il reality è la manifestazione delle tante malattie: davanti a simili programmi, non serve tanto chiedersi dove andremo a finire, quanto capire dove siamo già finiti. Ad un punto basso dell’intrattenimento, specie per chi si limita passivamente a guardare.
Insomma, il vero interrogativo è un altro: com’è possibile che noi italiani, con il Vaticano dentro casa e Siffredi maestro doc d’esportazione, siamo riusciti a farci fregare idee come queste dagli altri?