Nel ruolo di Mirella Casale docente che, negli anni Settanta si è battuta per l’abolizione delle classi differenziate, c’è una troppo esuberante Vanessa Incontrada. Compenetrata nella parte, l’attrice ha svolto diligentemente il “compitino” assegnatole meritando una striminzita sufficienza. Accanto a lei, ad interpretare il maestro Felice Giuliano, un Flavio Insinna standardizzato nella parte del buono a tutti i costi che non riesce, però, a superare la soglia della mediocrità. Il conduttore di Affari tuoi, tornato a recitare, ha cercato di dare al suo personaggio connotati a metà strada tra un maestro Manzi antica maniera e un docente moderno per il quale l’istruzione non può prescindere dai sentimenti. Una figura destinata a ricreare quell’alone di retorico buonismo tanto caro al personaggio Insinna. Anche Fabio Troiano, il marito della protagonista, è apparso scialbo nel contesto già scadente della recitazione.
Si poteva ottenere certamente un risultato migliore se la sceneggiatura non fosse stata così superficiale e quasi banale, ingabbiata in schemi prevedibili, quelli della bontà a tutti costi e della retorica di mestiere. Semplice raggiungere risultati commoventi quando i protagonisti sono bambini con disabilità fisiche e mentali. Semplice suscitare emozioni dinanzi ad un piccolo esercito di ragazzini che aspira ad un futuro migliore almeno dal punto di vista scolastico. Obiettivo centrato soltanto nel 1977 grazie all’approvazione della legge che abolì definitivamente le classi speciali, chiamate “le classi degli asini”.
Sono stati proprio i bambini a salvare il tv movie con la loro bravura e l’impegno nel recitare coralmente senza sbavature. Meglio, molto meglio dei blasonati colleghi grandi. La spontaneità di molte scene è riuscita a coprire la scarna sceneggiatura che, alla fine, è sembrata scorrere troppo velocemente per giungere alla meta finale e forse contenere il racconto nel tempo preventivato.
Il merito de La classe degli asini è aver proposto al grande pubblico di Rai1 un argomento delicato come la disabilità infantile. Ma bastava un buon documentario che poteva ripercorrere la vita e l’opera meritoria di Mirella Casale, la docente alla quale si deve la lotta per l’abolizione delle classi degli asini. La signora, oggi novantenne, meritava una celebrazione migliore non la superficialità della fiction italiana. Una fiction abituata a romanzare, a inventare personaggi di contorno perchè convinta che gli italiani hanno bisogno dell’irrealtà per capire la realtà.
In questo contesto anche il personaggio di Insinna è inventato. Per fortuna.
Buongiorno.
Sono del tutto d’accordo con la recensione, cui mi permetto di agggiungere alcune note.
La prima riguarda la solita, debordante romanità nel recitare, propria di Insinna, volta a far sembrare simpatico qualunque personaggio interpreti; chissà poi perché. Come se bastasse parlare in romanesco per risultare simpatico. Era proprio necessario questo personaggio?
In secondo luogo, mi è sembrata una storia che, nella migliore delle ipotesi, poteva essere raccontata con lo spazio dovuto ad una fiction, per poterne sottolineare meglio gli aspetti “storici”, anche se, visto il livello delle fiction italiane, forse è stato meglio così.
La storia,serissima ed importante, mi è sembrata rabberciata alla meglio, per farla stare nei tempi previsti, semplificando alcune situazioni e addirittura banalizzandone altre.
Da ultimo, perché in televisione, quando si fa parlare qualcuno con accento piemontese, lo si rende immancabilmente ridicolo? Scrivo da Torino e Vi assicuro che la cadenza piemontese non è quella.
Grazie dello spazio e saluti.
Carlo Villata
Buona sera, anche secondo me è stato trattato con molta leggerezza, potevano osare un po’ di più.
Il ruolo di Insinna credo che abbia offuscato la vera protagonista “Mirella Casale ” lui che oltretutto è stato pure inventato ha dato modo che lei prendesse coraggio a fare quello che ha fatto.
Potevano fare di meglio… Ci avrei visto molto bene una Anna Valle e un Giulio Scarpati per un film così.
Saluti ,Manuela .