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Una vera e propria officina della satira: da novembre a marzo infatti, Francesco De Carlo, Mauro Fratini, Velia Lalli, Giorgio Montanini, Saverio Raimondo, Pietro Sparacino e Filippo Giardina sperimentano i loro pezzi inediti davanti al pubblico di un locale romano, ed è da qui che partono per portare i loro spettacoli in giro per il Paese.
Fondata nel 2009 da Filippo Giardina, Satiriasi approda sul piccolo schermo con la sua libertà d’espressione, il sesso e tutta la forza che la risata può avere quando attacca pregiudizi e luoghi comuni.
In attesa del debutto di Stand Up Comedy, abbiamo intervistato proprio Filippo Giardina.
Ci racconti di Stand Up Comedy: come nasce l’idea e quali sono i contenuti del programma?
Stand Up Comedy nasce da due produttori illuminati che sono venuti a vedere una serata di Satiriasi e si sono innamorati del progetto.
Vedremo quindi sette serate di Satiriasi riprese dal vivo in cui abbiamo cercato di concentrare il meglio di cinque anni di produzione. Ci hanno lasciato carta bianca, quindi sarà un programma con un linguaggio mai sentito in televisione; si parlerà di tematiche mai trattate dai comici e, soprattutto, vedremo sette persone con il loro punto di vista su quello che gli accade intorno.
A differenza delle altre trasmissioni comiche della tv italiana, in Stand Up Comedy ci sono tempi lunghi, monologhi di 8-10 minuti ciascuno, manca la ricerca ossessiva della battuta e, inoltre, è stata ricreata l’atmosfera da locale americano con un montaggio rispettoso del live e senza inquadrature del pubblico.
Lei ha nominato Satiriasi, ci parli di questo appuntamento della Capitale
Satiriasi è in realtà un movimento culturale con tanto di manifesto.
Siccome siamo stati fiaccati da 30 anni di comicità televisiva devastante, cinque anni fa ho scritto una serie di regole, più che altro tecniche, da cui ripartire. Stabilire ad esempio che non si possono fare giochi di parole, significa solo dire al comico di impegnarsi di più, perché i giochi di parole sono la comicità del bambino di 8 anni. Oppure, ancora, il punto secondo cui «la risata è il fine, non il mezzo» significa solo che chi sale su un palco deve avere qualcosa di interessante da dire: l’idea di fondo è che si veicolassero concetti non banali, non populisti.
A proposito del manifesto di Satiriasi, al 13esimo punto si legge che «la satira è intelligente, chi la fa, invece, non sempre lo è». Che significa?
Nel 2001, dopo l’editto bulgaro, si è creata una sorta di emergenza democratica che è stata cavalcata da tanti personaggi che, in maniera assolutamente non strumentale, sono diventati paladini. Dal 2001 al 2010 quindi, chi faceva satira era considerato una persona che diceva la verità, che faceva addirittura informazione: si è creato questo equivoco del giullare che diceva la verità al re, dando alla satira un tono che è totalmente sbagliato.
Quel passaggio è dedicato proprio a questo: la satira non deve insegnare niente, perché non è moralismo; è un punto di vista su qualcosa che accade intorno a te. La base è sempre far ridere.
C’è qualche argomento su cui non si scrive?
Mettendo nome, cognome e faccia sulle cose che scrive, l’autore se ne assume la responsabilità per cui non c’è un limite etico, se non quello che si pone l’autore stesso.
Ti faccio un esempio: se io avessi un bambino, e per disgrazia fosse stato oggetto di violenza da parte di un pedofilo, io potrei decidere di fare la battuta su questa cosa, perché magari ho bisogno di esorcizzare questo dramma che ho vissuto. Poi il pubblico è libero di ritenerla di cattivo gusto, fuori luogo, ma è sbagliato far pensare alla gente che esiste qualcosa che non si può dire. In questo senso, il pezzo di Luttazzi sui limiti della satira, aveva creato molti equivoci.
Lei ha registrato un monologo molto critico sui confronti del web, definendo la rete come sesto potere. Poiché, negli ultimi anni, molta satira è passata proprio attraverso siti come Spinoza, non bisognerebbe invece ringraziare il web?
Questo è stato un grande errore di Luttazzi: trasmettere l’idea che la satira è scrivere battute. La battuta è sintetica, perciò rarissimamente può essere satirica: è un giochino tecnico.
Prima Luttazzi con la sua rubrica intitola Palestra, poi Spinoza e i vari collettivi, hanno trasformato la satira in enigmistica. Da questo punto di vista, la rete ha fatto pensare a tutti di poter essere autori satirici: per un periodo Spinoza ha avuto 1milione e mezzo di visitatori al giorno, e io credo che molti lo seguissero non solo perché divertente, ma anche con l’intenzione di diventare loro stessi autori delle battute.
Ci anticipa alcuni argomenti dei suoi pezzi per Comedy Central?
Ce ne sono differenti: parlano di donne, di uomini, di omosessuali, Uno è basato appunto sulla rete, uno sul narcisismo e uno contro il pubblico, a cui è stato dato troppo potere.
Ne avrei voluto realizzare uno molto controverso sulla religione, ma non ho potuto.
Come mai? Eppure Comedy Central non è una generalista…
Perché, oggettivamente, la religione è un potere enorme in questo Paese. Ma va bene così, perché i produttori, che ringraziamo, ci hanno permesso un grado di libertà folle per l’Italia.
Non so quanta gente vedrà Stand Up Comedy, ma chi lo farà, difficilmente riuscirà a guardare di nuovo Colorado, Zelig e Made in Sud.
Il mese scorso abbiamo assistito alla registrazione della prima puntata: qui potete leggere quali saranno i temi affrontati al debutto.